Stoccolma, scene da scontro di civiltà

Scene da scontro di civiltà a Stoccolma. Per tre notti di fila (e non è detto che sia finita), la capitale della Svezia si è accesa di centinaia di incendi e saccheggi come la Londra del 2011, o la Parigi della rivolta delle Banlieues. La scintilla che ha fatto scoppiare il disastro è avvenuta nel quartiere di Husby, abitato all’80% da immigrati, prevalentemente musulmani provenienti da Turchia, vari Paesi del Medio Oriente e Somalia. Come a Londra e a Parigi, a far scoppiare l’ira degli immigrati è un morto provocato dalla polizia. Questa volta, non è il solito giovane di strada ad essere stato ucciso, ma un anziano immigrato 69enne. Stando alla cronaca svedese, suoi vicini di casa avevano chiamato la polizia, perché si sentivano minacciati da quest’uomo armato di machete.

La polizia ha prima tentato di negoziare, poi quando ha appreso che c’era una donna in pericolo di vita nell’appartamento dell’anziano armato, gli agenti hanno fatto irruzione nell’appartamento. Il 69enne è morto, ucciso da un proiettile. Quando si è sparsa la voce, a quanto pare nessuno ha creduto alla versione dei fatti fornita dalla polizia ed è scoppiata la rivolta. I gruppi di giovani immigrati di Husby hanno iniziato a bruciare macchine, sia civili che dei poliziotti, e poi a dare il via alla vera e propria guerriglia urbana. Poliziotti riferiscono di essere stati presi a sassate. I disordini sono dilagati da Husby ad altri quartieri: Tensta, Kista, Rinkeby, Jakobsberg sono diventati campi di battaglia. Sono andati in fumo anche un asilo e un caffè artistico, lo Husby Gard. E la lista dei danni potrebbe ancora essere incompleta. I vigili del fuoco di Stoccolma hanno commentato, sulla stampa locale, di non aver mai avuto un tale sovraccarico di chiamate d’emergenza. Dopo il terzo giorno di rivolta, la notizia, dalla Svezia, ha iniziato a uscire anche in altri Paesi.

E, come sempre in questi casi, è iniziata la gara delle interpretazioni. Perché è scoppiato il caos? L’idea prevalente è quella del “disagio sociale”. Se c’è disagio e disoccupazione (in uno dei Paesi più stabili e ricchi d’Europa) è “normale” che i poveri attacchino i ricchi. Rami al Kamisi, studente di legge e fondatore dell’associazione Megafonen, dichiara al quotidiano svedese “The Local”, «Una crescente marginalizzazione e segregazione in Svezia, negli ultimi 10, 20 anni» sarebbe alla causa della violenza. Lo stesso al Kamisi dichiara che i poliziotti insultino regolarmente gli immigrati, dando loro delle “scimmie” e dei “negri”. L’appello ha avuto un effetto immediato: il ministro della giustizia Beatrice Ask, ha invitato chiunque sia stato offeso da un poliziotto a stilare un rapporto scritto. Però, la stessa organizzazione Megafonen è fra quelle sospettate di aver organizzato e aizzato i disordini.

È infatti stato segnalato un tweet di uno dei suoi coordinatori, Bana Bisrat, in cui si leggeva: «Caos a Husby. Odio, odio, odio i maiali poliziotti fino al giorno in cui morirò! Ricordatevi le mie parole, fino al giorno in cui morirò!». Non proprio un messaggio di amore multiculturale. Benché i reportage dei quotidiani svedesi evitino il più possibile di nominare l’etnia o la religione degli aggressori, i filmati mandati su YouTube mostrano soprattutto immigrati mediorientali. “Allah Akhbar!” (Dio è grande!) viene urlato dai vandali che attaccano i poliziotti, lanciano le molotov, incendiano le auto. L’Islam sta giocando la sua parte, a quanto risulta. Anche se l’asettica stampa nordica evita di parlarne esplicitamente. Non sia mai che salti fuori un altro Breivik anche in Svezia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:42