Dialogo interculturale per le nazioni arabe

È di qualche giorno fa la notizia, pubblicata da un quotidiano tunisino, che in Arabia Saudita esiste un carcere di massima sicurezza dove stanno scontando la loro pena circa 600 Jihadisti rientrati dall’Afghanistan. A dire il vero, gli Jihadisti sauditi rientrati nel 2011 sono stati più di 15.000, ma a finire in carcere sono stati solo quelli colpiti da mandato di cattura internazionale emesso per terrorismo dall’intelligence USA. Di fronte a simili più che motivate accuse, anche i più accaniti Wahabiti Sauditi (cioè chi continua a sponsorizzare il radicalismo islamico che si richiama a un ritorno all’Islam delle origini - 674 DC) non si sono potuti opporre. Di conseguenza questi 600 guerrieri del terrore Islamico da due anni sono internati in un posto che a dire il vero somiglia molto di più a un albergo a cinque stelle che a un carcere. Camere singole con angolo cottura, bagno dotato d’idromassaggio, televisione satellitare e aria condizionata.

Sala sport, sauna, massaggi, fitness, videoteca, biblioteca e aree riposo, nelle zone comuni: insomma più una vacanza che una pena da scontare. La notizia è rimbalzata sulla scena internazionale solo ora, a seguito di una manifestazione di protesta organizzata dalle mogli dei “detenuti” per la “mancata parità di diritti” manifestatasi all’interno del carcere. E si, perché tra i vari benefits di cui godono i detenuti figura anche la possibilità di ospitare la propria moglie due volte alla settimana. Sennonché, l’Arabia Saudita è aperta alla poligamia sino a un massimo di quattro mogli e le opportunità di incontro, quindi, eccessivamente diradate nel tempo. Anche se la notizia può far sorridere sul suo epilogo, non di meno si deve sottovalutare il fine ultimo che i sauditi vogliono dare nel far scontare una pena “ideologica” in un carcere a 5 Stelle. Nella sostanza si tratta di un sistema di riabilitazione sociale che in Norvegia è già in atto da decenni. A Anders Breivik, l'autore della strage di Oslo del luglio 2011, in cui sono morte 77 persone e altre 140 sono rimaste ferite, sono stati dati solo 21 anni di prigione per crimini contro l'umanità, da scontare in una prigione dove non esistono mura confinati né pene detentive o isolamento continuato.

Già, quindi, che in Arabia Saudita siano arrivati a considerare il fine “rieducativo” per il criminale, è un fatto più che positivo e, al tempo stesso, dà la possibilità di allargare il discorso a quanto in atto in molti paesi dell’Africa settentrionale, a due anni di distanza dalle rivoluzioni cui sono andate soggette. In Tunisia, Egitto e Libia, infatti, i partiti Islamisti (Fratelli Musulmani e Ennahda) hanno ottenuto un indubbio successo elettorale e sono andati al Governo. Se questo da un lato è servito a ripresentare motivi sociali di radice religiosa tradizionale, dall’altro è definitivamente sfociato nella contrapposizione, spesso purtroppo violenta, tra jihadisti Salafiti (ancora oggi finanziati dal Wahabismo Saudita) e gli Islamisti del partito di Governo. Inoltre, in ambito parlamentare molti dubbi sono stati espressi dalle forze di opposizione e da rappresentanti della società civile sulla bozza di “Costituzione” presentata dalle forze islamiste, in particolare per quanto riguarda la condizione femminile (art.18 recita: in ambito familiare la donna assume un ruolo complementare all’uomo…), le libertà religiose (matrimoni misti) e la parità di diritti civili connessi. Nella sostanza, nel Parlamento Tunisino si stanno confrontando due modi di vedere lo Stato: da una parte le inclinazioni “teocratiche”, dall’altra la “laicità” dello stato.

Ma, se questo è il dibattito parlamentare che, ringraziando il cielo, per ora permane a un livello di transizione democratica del Paese, ben diversa è la situazione esterna dove le forze di Governo sono state costrette a intervenire più di una volta per contrapporsi alla violenza manifestata dai sostenitori del movimento Salafita Ansar Echariaâ. Al confine con l’Algeria, nei pressi della città di Kasserine, si sta combattendo la vera Jihad (guerra santa)! Ci sono stati violenti scontri tra l’Esercito e un gruppo di Jihadisti tunisini con chiare connessioni con Al Qaeda Maghreb, che avevano circondandolo di mine anti-uomo i loro rifugi, causando vittime e gravi ferite tra i militari tunisini. Inoltre, durante l’ultimo week end, la stessa capitale è stata oggetto di scontri armati in diversi quartieri, a maggioranza Salafita e sostenitori del movimento Ansar Echariaâ. L'escalation dei combattimenti si è protratta a lungo e alla fine della giornata il consuntivo ha visto la morte di due giovani salafiti e diversi feriti sia tra le forze dell'ordine che tra i manifestanti. Anche Kairouan, per il mondo Musulmano città santa, da sabato pomeriggio è stata messa completamente in “sicurezza” dalle forze dell’Ordine, a causa di un annunciato Congresso Nazionale di Ansar Echariaâ, non autorizzato.

Nonostante gli scontri che si sono comunque manifestati, una nota imprevista ha riportato la pace in città: Una bella ragazza tunisina dal nome Amina, appartenente al gruppo laico “FEMEN”, ha contestato contro i salafiti a seno nudo nella piazza antistante alla Moschea principale di Kairouan. E’ stata prontamente arrestata, ma l’episodio ha riportato a più pacifiche condizioni l’intero scenario. Ecco, quindi, che si vengono sempre più a fronteggiare le due realtà sociali tunisine. Da una parte gli Islamisti di Ennahda, con le sue “devianze” Jihadiste Salafite (molto contrastate anche dall’attuale primo Ministro Ali Larayedh), dall’altra la prevalente cultura laica e modernista che si richiama alla cultura Mediterranea: quella Europea. Ancora una volta un disperato appello da parte del popolo tunisino all’apertura di un dialogo interculturale tra le due sponde del Mediterraneo.

Lì dove per dialogo si deve intendere: parlare delle differenze che emergono sempre più tra le due culture: quella laica modernista e quella islamista tradizionalista. Non si tratta quindi cercare di stemperare le differenze di matrice Religiosa. Per questo il Cardinale Scola e la sua Oasis saranno sempre dei precursori incontrastati. Bensì di aprirsi al confronto culturale, tanto richiesto dagli ambienti universitari e dallo stesso popolo tunisino. Chissà se su quanto detto, il neo Ministro degli Esteri Emma Bonino potrà ben fare sua anche questa battaglia di pace e di libertà tra i popoli. Magari per ora solo con la Tunisia e l’Egitto. Per l’Arabia Saudita consiglio un po’ di tempo in più!

(*) Fabio Ghia è il Presidente Associazione Nazionale Famiglie degli Emigrati - Tunisia

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:42