Callanan, contro l’utopia europeista

Giornate di Studio del Gruppo europeo dei Conservatori e Riformisti. A Milano, ospiti di Cristiana Muscardini, europarlamentare e presidente dei Conservatori Social Riformatori italiani, si è riunito un folto gruppo di conservatori, soprattutto inglesi. È stata l’occasione per discutere, per tre giorni, di temi di rilevanza internazionale e di stretta attualità, quali il problema della contraffazione, del commercio, delle piccole e medie imprese strangolate dalla crisi e dei diritti umani. Ospite d’eccezione: Martin Callanan, europarlamentare britannico, presidente del Gruppo Riformatori Europei. Callanan è un Tory e come tale è orfano di Margaret Thatcher. In veste di europarlamentare, il 16 aprile scorso (il giorno prima dei funerali della storica premier, ha ricordato il suo messaggio sul futuro dell’Europa, lanciato nel famoso discorso di Bruges: «Citando un suo passaggio: “Quello di cui abbiamo bisogno, ora, è prendere decisioni sui prossimi passi avanti da compiere, invece di farci distrarre da obiettivi utopistici. L’utopia non arriva mai, perché sappiamo che, se dovesse arrivare, non ci piacerebbe”. Ebbene, anche oggi, molti si concentrano sull’astratta utopia di completare il progetto europeo. Per loro “più Europa” è sempre la risposta giusta». Abbiamo incontrato e intervistato Callanan proprio sul futuro dell’Unione Europea.

Onorevole Callanan, 25 anni fa, Margaret Thatcher segnalava il pericolo di centralizzazione. È un processo irreversibile?

Io credo, prima di tutto, che per un politico sia sempre possibile disfare quel che altri politici hanno costruito finora. Quindi, no: non è affatto un processo irreversibile. C’è la possibilità di invertire la marcia nella corsa verso l’eurofederalismo di questo quarto di secolo. E in un certo senso, lo stiamo già facendo, a causa di uno dei più ironici effetti collaterali dell’euro. Quel progetto, che avrebbe dovuto unificare maggiormente i membri dell’Ue, ha prodotto, al contrario, una maggiore divisione. L’euro sta svolgendo molto bene, meglio di qualsiasi partito, il lavoro di distruzione del progetto di centralizzazione.

Cosa pensa del prossimo referendum britannico sull’Ue?

Nel referendum, che si terrà fra quattro anni, i cittadini dovranno decidere se restare o meno nell’Ue, ma non alle condizioni attuali, bensì a quelle che verranno rinegoziate dal premier David Cameron. Vediamo se altri referendum, in altre parti d’Europa, dimostreranno la volontà di uscire o aderire a una ulteriore integrazione. Perché, infatti, non solo in Gran Bretagna si registra un alto grado di insofferenza nei confronti dell’Ue. Noi abbiamo deciso di dare voce ai nostri cittadini.

Come mai l’Ukip ha avuto così tanto successo nelle ultime elezioni locali?

Oltre alla questione europea, si somma una vasta gamma di altri fattori: delusione per la politica tradizionale, un’ondata di anti-politica, timore nei confronti di una sempre più massiccia immigrazione (sia dall’Ue che da altrove), opposizione ai matrimoni gay, più una serie di ragioni locali. Insomma, l’Ukip è stato un ricettore di tutte queste insofferenze popolari.

Molti ritengono che alla Gran Bretagna non convenga uscire dall’Ue, perché perderebbe i vantaggi del mercato europeo, suo primo cliente e fornitore.

Se è vero che l’Ue è il primo mercato di sbocco per il Regno Unito, è altrettanto vero che il Regno Unito è il primo mercato di sbocco per il resto dell’Ue. Se proprio dovessimo uscire (la qual cosa non è la soluzione ideale, dal mio punto di vista: io preferirei rinegoziare l’appartenenza all’Ue), credo che sia naturale, per entrambe le parti, stipulare un accordo di libero scambio.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:42