Governo islamico dal cuore liberista

Il Pakistan ha votato. Il risultato, ormai, è certo: salvo imprevisti dell’ultima ora lo spoglio delle schede parla chiaro. La maggioranza parlamentare è stata conquistata dalla Pml (N), la Lega dei Musulmani del Pakistan (la N sta per il nome del suo leader: Nawaz Sharif). La Lega è uno dei movimenti eredi della All Indian Muslim League, uno dei partiti fondatori del Pakistan sin dalla sua secessione dall’India, alla fine degli anni ’40. È dunque una forza politica che ha voluto costruire una nazione musulmana per musulmani sin dalle origini. Essendo un partito dalle radici antiche e con più di un’esperienza di governo alle spalle, la sua vittoria suona rassicurante alle orecchie dei governi occidentali e di quello della vicina e nemica India.

Le congratulazioni a Sharif e gli auguri per una felice formazione del suo nuovo esecutivo, sono giunti da Obama così come da Manmoan Singh. Eppure, sia gli Usa (tradizionali alleati) che l’India (tradizionale avversaria, in perenne guerra fredda) dovrebbero averne paura. Durante tutta la guerra al terrorismo, infatti, la Pml (N) è stata alla testa del fronte anti-Usa nel Pakistan. Pur non contrapponendosi frontalmente a Washington, il partito di Sharif, ha sempre considerato la guerra in Afghanistan e sugli altri fronti come una missione “anti-islamica”. In campagna elettorale, Sharif ha promesso di ritirare il suo appoggio agli Usa. Non si sa fino a che punto rispetterà il suo impegno, formulato in termini abbastanza vaghi da essere fraintesi. Ma in ogni caso gli Usa non avranno più (se mai l’hanno avuta) una base sicura nel Pakistan per la conduzione delle operazioni in Afghanistan. Ciò è grave soprattutto in vista del ritiro delle forze multinazionali da Kabul, che verrà completato entro il 2014.

Tutte le operazioni di disimpegno sono delicate. Eseguirle con un vicino ostile è ancora più difficile. Affidare a quel vicino la sicurezza del Paese che si sta lasciando, è una tragedia. Per chi ha la memoria lunga, può tornare alla mente il triennio 1990-1993: allora era l’Unione Sovietica ad essersi ritirata dall’Afghanistan e al potere in Pakistan c’era sempre Nawaz Sharif, sostenuto da una maggioranza della Pml (N). Ebbene, proprio quei tre anni videro la nascita e l’affermazione del movimento dei Talebani. Che nel giro di mezza decade occuparono tutto il Paese, proprio grazie al sostegno del Pakistan. Artefice del successo fu soprattutto l’esercito e il suo potente servizio segreto (Isi), una forza ben poco controllabile dal governo civile. Ma allora, prima che si consumasse lo strappo della fine degli anni ’90, la Pml (N) era la forza politica più vicina all’esercito. Perché l’India dovrebbe temere il partito appena tornato al governo? Perché, se è vero che Nawaz Sharif ha firmato l’accordo di Lahore (per la coesistenza pacifica e la non-proliferazione delle armi di distruzione di massa), è anche vero che è proprio sotto il suo governo che il Pakistan ha condotto i suoi test nucleari, divenendo a pieno titolo una potenza nucleare.

E, fra i vari partiti pakistani, la Pml (N) è anche la maggior sostenitrice dell’irredentismo del Kashmir, su cui non scende a compromessi. Il governo della Pml (N) è stato rovesciato dai militari, guidati da Pervez Musharraf, per un braccio di ferro interno, ma anche per la firma degli accordi di Lahore, mai del tutto digeriti dalle forze armate. Se la Pml (N) vorrà mantenere il controllo, rispetterà la parola data con l’India o sarà più attenta a non infastidire l’esercito? L’ottimismo internazionale è maggiormente dovuto all’apprezzamento della “stabilità” in sé: il fatto di avere un governo sostenuto da una chiara maggioranza è sempre positivo, secondo l’interpretazione dei diplomatici occidentali. D’altra parte anche l’Afghanistan dei Talebani era “stabile”, agli occhi degli americani, almeno sino all’11 settembre 2001. Per la Pml (N) c’è anche la speranza che emerga la sua anima più liberale. A fianco di un programma filo-integralista, infatti, ha sempre convissuto un’agenda economica coerentemente liberista. Fu Sharif l’artefice delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni degli anni ’90. Allora si opponeva allo statalismo di Benazir Bhutto. Quando giunse al governo, più di vent’anni fa, era considerato come una Thatcher del Medio Oriente. Ora sembra un’altra era, perché la guerra al terrorismo ha travolto qualsiasi altro discorso. Ma chissà che l’anima liberale (che esiste) del nuovo primo ministro e del suo partito di maggioranza non lo porti, prima o poi, a vedere l’Islam politico sotto un’altra luce.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:41