Quando l’Iran giocherà al

La previsione di un nuovo test missilistico nordcoreano sta diventando molto più concreta. E un rapporto della Defense Intelligence Agency (Dia) statunitense parla chiaro: la Corea del Nord ha già ordigni nucleari. Ma il segretario di Stato John Kerry sottovaluta o vuole sottovalutare la minaccia, affermando, a Seul, che il rapporto della Dia è “inaccurato”, perché le atomiche nordcoreane, benché ci siano, sarebbero solo ad una fase di test. Non è dato sapere se l’atteggiamento di Kerry sia più dettato dalle circostanze (non alimentare l’allarmismo) o fondato su informazioni ancora più accurate di quelle a disposizione della Dia. In ogni caso è un’ulteriore dimostrazione della strategia americana in Corea: non dare ascolto alle minacce del Nord, fare il minimo indispensabile per rassicurare l’alleato sudcoreano sulla solidità dell’alleanza, non dare adito ad ogni eventuale escalation.

La Casa Bianca è convinta che Pyongyang non stia facendo sul serio, che non voglia prepararsi ad una guerra vera. Ad un prossimo (ormai quasi certo) test missilistico, gli Usa risponderanno con altri negoziati all’Onu per ottenere nuove sanzioni punitive, come sempre è stato fatto dopo ogni provocazione militare di Pyongyang. Il suo discorso, rivolto al regime del Nord, è improntato sul consueto tono ragionevolmente ammonitorio. Secondo Kerry, Kim Jong-un «può scegliere di ignorare deliberatamente l’intera comunità internazionale, gli obblighi che ha accettato e allora vi sarà un gesto provocatorio e indesiderato che alzerà la temperatura del popolo. Sarebbe un grave errore per lui scegliere di compierlo, perché ciò isolerà ancora di più il suo popolo, che è disperato per la mancanza di cibo, non per i lanci di missili, che è disperato per mancanza di opportunità, non per un leader che vuole flettere i muscoli in questo modo». Insomma, per l’ennesima volta, come la Clinton e la Rice prima di lui, Kerry cerca di far ragionare il nuovo dittatore del “regno eremita”, spiegandogli che non gli conviene provocare. Ma a Kim Jong-un interessa la fame del suo popolo? Al regime interessa di non essere “ulteriormente isolato” dopo 65 anni di volontario isolamento? Se anche tutta questa escalation fosse una messa in scena, si tratta comunque di una prova di forza.

Interna al regime, per dimostrare la tempra del nuovo, giovane e inesperto leader. Ma anche all’esterno, per saggiare la determinazione dei potenziali nemici, Stati Uniti per primi. E la Corea del Nord potrebbe anche dare l’esempio, se tutto va per il verso giusto (per Pyongyang). Chi sta osservando con maggiore attenzione questa crisi è uno Stato “canaglia” all’altro capo dell’Asia: l’Iran. Ne è convinto lo storico militare Victor Davis Hanson, che sulle colonne della National Review, giovedì ha scritto: «L’attuale crisi con la Corea del Nord ci offre uno scorcio su quella che accadrà, o non accadrà, se l’Iran dovesse dotarsi della sua bomba». In particolar modo: «Dovremmo prevedere che la teocrazia iraniana, così come la settantennale dinastia dei Kim in Corea del Nord, diverrebbe periodicamente lunatica: minacciando i suoi vicini e promettendo una bufera nella regione, se non, successivamente, anche negli Stati Uniti e in Europa. Un Iran ricco di petrolio e di armamenti convenzionali, già recita questo copione. Quando diverrà una potenza nucleare, quegli avvertimenti sull’annientamento di Israele o sugli attacchi agli impianti petroliferi degli Stati Uniti nel Golfo Persico non saranno così facilmente derisi, così come la malsana diatriba con Kim Jong-un non è così facilmente sottovalutata». In pratica, l’Iran potrà giocare al pazzo atomico per contare di più e ottenere quel che vuole.

La Corea del Nord gioca sul fatto di non aver più nulla, mentre «i suoi vicini avrebbero tutto da perdere», come constata Davis Hanson. L’Iran potrebbe copiare lo stesso modello, «per creare una tale atmosfera di terrore e tensione nello Stato ebraico da indebolire la sua economia, incoraggiare l’emigrazione ed erodere la sua reputazione geostrategica». Ma il rischio di una guerra vera? «Un Iran nucleare non avrebbe la preoccupazione di un vicino con un miliardo di persone e dotato a sua volta di armi atomiche (come il Pakistan con l’India, ndr), né un patron con un miliardo e mezzo di persone quale è la Cina, che fissa una linea rossa oltre la quale la follia periodica (dei nordcoreani, ndr) non può andare. Al contrario, Teheran sarebbe molto più libera di fare e dire quello che vuole».

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:30