Usa, separare lo Stato  dal matrimonio

Una serie di cause giunte fino al livello della Corte Suprema degli Stati Uniti, stanno rimettendo in discussione il diritto di famiglia e il concetto stesso di matrimonio. Le implicazioni potrebbero essere rivoluzionarie. E non a caso il movimento gay negli Usa paragona la battaglia in corso alla Corte Suprema al “Civil Rights Act” che sancì la definitiva emancipazione dei neri d’America. Le battaglie in corso presso la Corte Suprema sono due in parallelo, a dire il vero. La prima riguarda una serie di 4 cause istituzionali: il Bipartisan Legal Advisory Group della Camera dei Rappresentanti contro Gill; il Dipartimento della Sanità contro lo stato del Massachusetts; l’Office of Personnel Management contro Golinski; Windsor contro gli Stati Uniti. Si tratta, in tutti e quattro i casi, di una contestazione alla costituzionalità della “Doma” (Defense of Marriage Act: legge in difesa del matrimonio), votata dal Congresso (allora a maggioranza Repubblicana) nel 1996 e firmata dall’allora presidente democratico Bill Clinton.

La “Doma” definisce il matrimonio come un’unione fra un uomo e una donna e vieta ai singoli stati, così come agli organi federali, di estendere alle coppie omosessuali tutti i benefici (welfare, immigrazione, diritti sociali) goduti dalle coppie eterosessuali sposate. Non è un problema costituzionale di poco conto, considerando che il matrimonio gay è legale e riconosciuto in ben 9 stati degli Usa (Connecticut, Iowa, Maine, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New York, Vermont, Washington), nel Distretto di Columbia (quello della capitale) e in tre territori indiani. Domenica è stato riconosciuto legittimo anche dalla Corte Suprema del Texas, stato notoriamente conservatore. L’articolo 3 della “Doma” è dunque molto dubbio in fatto di costituzionalità, così come le sue disposizioni sul welfare. Come fare a vietare benefici a una coppia che (nel suo stato) si è sposata regolarmente? Parallelamente a questo casi, sempre alla Corte Suprema è arrivata la causa Hollingsworth contro Perry, una causa personale mossa da Kristin Perry, in California contro i funzionari del suo stato (incluso l’allora governatore Arnold Schwarzenegger), perché non le avevano permesso il matrimonio con la sua compagna nel 2009. Nel 2008 la Corte Suprema della California aveva stabilito la legalità dei matrimoni omosessuali.

Ma nel novembre dello stesso anno, con il referendum sulla Proposition 8, la costituzione locale è stata emendata per re-imporre il divieto. Ma al di là della volontà popolare locale, i difensori di Kristin Perry ritengono che il divieto del matrimonio gay sia contrario al 14mo Emendamento della Costituzione, introdotto dopo la Guerra Civile, per vietare ogni forma di discriminazione. Su base razziale, allora. Su base sessuale, oggi. I difensori dei diritti dei gay, con un sapiente lavoro di comunicazione, hanno buon gioco a definirsi i veri eredi di Lincoln, soprattutto adesso che è ancora fresco il film di Steven Spielberg. Il livello di politicizzazione di queste cause è altissimo. Come abbiamo visto prima, per il movimento gay è una battaglia importante quanto il “Civil Rights Act”. Barack Obama era entrato a gamba tesa nel dibattito fin dal suo primo mandato. Una delle sue promesse elettorali del 2008 era proprio quella di respingere la “Doma”. Bill Clinton, che ha firmato la legge, ha firmato un editoriale sul Washington Post dal titolo eloquente: “E’ tempo di rovesciare la Doma”. Hillary Clinton si dice favorevole ai matrimoni gay. A ben vedere, la questione non è così semplice come potrebbe apparire.

Ci sono ben tre scontri in corso: magistratura contro democrazia, stati contro governo federale, libertà di matrimonio contro il welfare state. Magistratura contro democrazia: il Partito Democratico ha provato, senza successo, a respingere la “Doma” con metodi parlamentari, ma senza successo. Adesso come adesso l’amministrazione Obama preferisce affidarsi all’esito di cause giudiziarie. Sarebbe una rivoluzione calata dall’alto, non certo votata dalla maggioranza degli americani. In California, a livello locale, lo scontro fra magistratura e democrazia è ancora più evidente. Perché il 52% dei californiani ha votato per la Proposition 8, contro la sentenza della Corte, ma adesso il caso viene portato a un livello più alto di giurisdizione. Certo è che i tribunali esistono anche per permettere agli individui di difendersi dal parere della maggioranza. Ma qui subentra anche il secondo livello di scontro… Federalismo contro governo federale, proprio nel caso della California. Su questo punto anche gli stessi libertari più incalliti, difensori a oltranza dei diritti degli stati, sono divisi. Sulla rivista Reason, punto di riferimento del pensiero individualista radicale, Ilya Shapiro (del think tank Cato Institute) e Jonathan Adler (professore di legge alla Case Western University School of Law) esprimono due pareri opposti.

Shapiro privilegia il diritto individuale su quello degli stati e ritiene legittimo che un singolo possa rivolgersi alla Corte Suprema per tutelare la sua libertà, anche contro il parere del suo governo locale. Shapiro cita i casi in cui i libertari (senza ombra di dubbio) appoggiano le sentenze contrarie agli stati e a favore del Secondo Emendamento (libertà di portare armi) o al Primo Ementamento (libertà di espressione). Il caso Hollingsworth contro Perry non è nulla di diverso: “E’ una causa in cui un governo sta violando un diritto individuale garantito dalla Costituzione”. Al contrario, Jonathan Adler, che ha partecipato, in veste di esperto, alla causa Windsor contro gli Stati Uniti, ritiene che il federalismo debba essere preservato prima di tutto. Perché un individuo dissenziente può trasferirsi, all’occorrenza, da uno stato meno libero ad uno più libero. E perché è proprio la diversità di legislazioni fra stati più conservatori e più liberali che ha permesso di sperimentare e “scoprire le leggi che proteggono al meglio la libertà individuale e la ricerca della felicità”.

Ma alla fine resta sempre un grande problema, un vero elefante nella cristalleria: i diritti sociali, i benefici del welfare. Se li si estendesse anche alle coppie omosessuali, sarebbe una spesa in più, a carico anche dei contribuenti conservatori. E’ per questo che il governatore repubblicano del Wisconsin, Scott Walker, pur non condividendo il principio, ammette di “comprendere” le ragioni di chi vuol separare il matrimonio dallo Stato. Fin dall’origine delle colonie americane, come fa notare John Fund della National Review, le unioni erano contratti fra privati prima che intervenissero i legislatori statali. La definizione stessa del matrimonio dovrebbe essere data dalle chiese, dalle sinagoghe, dalle moschee, dai templi, non da un governo che impone una formula omologante quanto arbitraria. Se al concetto di “matrimonio” corrispondono precisi diritti sociali, a spese del contribuente, il problema della sua definizione diventa grave, sfocia in una sorta di guerra civile fredda per l’accaparramento dei diritti. Per evitare un conflitto simile, una separazione netta fra Stato e matrimonio (così come quella fra Stato e Chiesa) potrebbe essere di aiuto. Siano le comunità volontarie, laiche o religiose, a riconoscere, proteggere e aiutare (anche economicamente) le famiglie. Siccome nulla di simile è all’orizzonte, la guerra fra gay ed etero, così come quella fra liberal e conservatori, sarà ancora lunga.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:24