«Ogni stato membro avrà il diritto di fornire mezzi di difesa per sostenere la lotta e la resistenza del popolo siriano, nonché dell’esercito siriano libero». È stata questa la decisione avanzata dalla Lega Araba riunita martedì a Doha, in Qatar, in occasione dell’annuale vertice degli Stati membri. Una svolta giunta nel corso del primo round di incontri tra i rappresentanti dei 21 Stati membri dell’organizzazione araba, a cui ha partecipato la Siria dopo 18 mesi di assenza forzata, rappresentata dalla Coalizione Nazionale Siriana, in veste di unico rappresentante dell’opposizione siriana riconosciuto legittimo, guidato dal leader dimissionario Ahmed Moaz al-Khatib. Per l’occasione, il capo dell’opposizione siriana al-Khatib è stato affiancato dal neo primo ministro ad interim Ghassan Hitto eletto lo scorso 19 marzo. A lui spetterà l’onere di formare un governo di transizione nelle aree controllate dai ribelli e sottratte alle forze governative del presidente Bashar al-Assad. All’incontro con la Lega Araba era presente anche George Sabra, il leader del Consiglio Nazionale Siriano (l’organo politico dell’opposizione).
Una riabilitazione quella della Siria alla conferenza araba premiata con l’assegnazione all’opposizione del seggio che fu di Damasco. La risoluzione adottata martedì a Doha dalla Lega Araba legittima di fatto il diritto di ciascun Stato membro dell’organizzazione araba a fornire, o incrementare la fornitura di armi ai ribelli siriani. Una richiesta che già da tempo alcuni Stati membri esaudivano. Alla fine di febbraio, il primo ministro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al-Thani, aveva annunciato l’intenzione di sostenere l’opposizione siriana “con ogni mezzo”, fornendo loro anche armi se ritenuto necessario. Nei giorni successivi all’annuncio, la Coalizione Nazionale Siriana ha ricevuto dal Qatar una donazione in denaro pari a 100 milioni. Si tratta solo della prima tranche di finanziamenti destinati all’opposizione siriana e messi a disposizione della Lega Araba. In realtà la somma di aiuti in denaro ammonterebbe a 900 milioni di dollari. Tutto il denaro è stato inserito nel contesto degli aiuti umanitari. Fin dall’inizio del conflitto siriano, il Qatar ha sempre dimostrato di essere un acceso sostenitore della lotta armata condotta dagli oppositori al regime di Bashar al-Assad. Ed è sempre stato il primo Paese arabo a chiedere un intervento più deciso in Siria, alla luce dei numerosi fallimenti messi a segno dalla diplomazia internazionale. Dietro il sostegno per scopi civili e umanitari fornito da alcuni Paesi arabi alla popolazione oppressa, si celerebbero in realtà interessi meno nobili.
Una recente inchiesta del New York Times ha rivelato che alcuni Paesi arabi e la Turchia, con il sostegno della Cia, avrebbero inviato armi ai gruppi ribelli raccolti sotto il cappello protettivo dell’Esercito Siriano Libero. Negli ultimi mesi, secondo il New York Times, il volume di armi fornite alla Siria è aumentato. E la prova è nell’aumento del traffico di velivoli militari negli spazi aerei di paesi come la Giordania, l’Arabia Saudita e il Qatar. Tutti velivoli avevano come meta la Turchia. I tre paesi maggiormente coinvolti avrebbero inviato nello spazio aereo turco più di 160 aerei militari, atterrati presso l’Esenboga Airport, vicino ad Ankara, e in misura minore presso altri campi di aviazione turca e giordana. La spedizione di armi in Siria attraverso la Turchia, e anche la Giordania, è iniziata su piccola scala nei primi mesi del 2012 ed è proseguita fino all’autunno. Ha subito poi un’impennata nei mesi invernali del 2012, con l’aggravarsi della situazione interna e il conseguente aumento di sfollati, profughi e vittime (70.000). Secondo una ricerca condotta dal Peace Research Institute di Stoccolma, i velivoli militari provenienti da Arabia Saudita, Qatar e Giordania e atterrati in Turchia, hanno trasportato circa 3500 tonnellate di attrezzature militari.
Risale all’ottobre 2012 la scoperta di alcune casse di munizioni, tre per la precisione, trovate all’interno di una moschea ad Aleppo. Sulla parte laterale delle casse, come ha documentato la BBC, era affissa un’etichetta che riportava il nome di una ditta ucraina, la Dastan, specializzata in armi navali e sistemi missilistici. La presenza di materiale militare proveniente dall’Aeroporto Internazionale King Khalid di Ryad suggerisce come nel Golfo, ad un anno dalla rivolta, vi fosse qualcuno attivamente impegnato a fornire aiuto, non solo economico, ai ribelli siriani. Per quasi due anni i ribelli siriani hanno avuto accesso alle armi, senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o della Lega Araba. Il vertice di Doha di martedì ha dato avvio ad una seconda fase nella gestione della crisi siriana, tenendo conto degli innumerevoli fallimenti messi a segno dalla diplomazia internazionale in 24 mesi di conflitto. La Lega ha optato di fatto per la soluzione ultima: legittimare l’invio di armi all’opposizione. Una decisione destinata in futuro a tracciare nuovi equilibri tra le forze in campo: i Paesi Arabi interverranno militarmente in Siria? Qual è il futuro della missione dell’inviato dell’ONU, Lakhdar Brahimi e il piano di Ginevra? Come reagiranno Mosca, Tehran e Pechino, e tutti quei paesi che ancora mantengono rapporti con l’attuale regime siriano?
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:00