Il Papa e l'apertura all'Islam

L’importanza delle affermazioni di Sua Santità Papa Francesco sull’apertura al Dialogo con il mondo Musulmano è di straordinaria attualità. Basti pensare a quanti immigrati musulmani ha avuto l’Europa nell’ultimo decennio, per comprendere che non si tratta solo di un’apertura a livello internazionale, bensì è qualcosa che ci riguarda molto più da vicino, anche in ragione di quei nuovi “valori di fondo provenienti dai paesi della primavera Araba” e dei tanti immigrati musulmani che sono arrivati sulle nostre sponde. In questo ambito la Tunisia ha fatto anche da apripista per tutte le altre nazioni al percorso di apertura “democratica”. In questa terra, la Rivoluzione ha fondato i suoi cardini su valori quali la “Dignità dell’uomo”, “Libertà”, “giustizia sociale”! Per contro, i nuovi orientamenti del governo tunisino mostrano sempre più derive di natura “religiosa”. Per quanto possa sembrare un paradosso, non lo è per nulla! Ennahada, il partito Islamista, ha vinto perché è riuscita a proporsi ai tunisini come radice identitaria comune su cui si è evoluta la società tunisina di oggi. La stessa cosa è accaduta in Egitto con i Fratelli Musulmani.

L’antico Islam ha fatto da amalgama alle poliedriche istanze delle svariate fasce sociali locali, incluso le più accese moderniste che amano vestire all’occidentale o i professori universitari che intendono insegnare al di là di qualsiasi restrizione/censura dettate da interpretazioni radicali del Corano. Non solo! Questo “ritorno alle origini” è stato ancora più marcato nei tunisini espatriati in Europa, la cui soglia di adesione ai partiti Islamisti ha rasentato l’80%, Italia compresa. I mutamenti in atto nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, non sono dunque solo fine a se stessi, ma sicuramente troveranno interazioni di ampia portata in Europa e, in particolare in Italia. Nonostante la moderazione e la volontà al rispetto delle conquiste democratiche acquisite in Tunisia, il differente approccio concettuale, incentrato sui valori imprescindibili dettati dal Corano, permane e non credo che possa essere risolto nel breve periodo. Anzi, il brutale assassinio del mese scorso a Tunisi di Chokri Belaid, incontrastato capo carismatico dell’opposizione, avvenuto con ogni probabilità solo perché più di una volta si era professato “ateo” (l’Islam non accetta i non Credenti), dimostra che il rispetto della legge Coranica è un sentimento che non solo si va sempre più diffondendo, ma addirittura si va radicalizzando anche sulle fasce sociali meno “acculturate”, cioè la stragrande maggioranza del popolo tunisino. L’Islam, secondo Ghannouchi – leader di Ennahada, non è solo una religione, è un modo di essere; un modo di vivere, un modo di perenne confronto a livello sociale per seguire il dettame Coranico.

Se questo è vero nel mondo islamico, il problema emerge nella sua interezza in Europa, terra di origini culturali romane e cristiane, dove potrebbe presto manifestarsi il vero “confronto tra civiltà”. Il musulmano, anche quando è al di fuori del suo ambiente di vita, è e rimarrà tale sino alla morte. Ogni elemento umano si sente parte integrante dell’Islam; non c’è alcuna differenza tra il cittadino e il colui che esprime la sua professione di fede: l’Islam è Stato e religione al tempo stesso. Questa è la ragione principale che accomuna i musulmani di tutto il mondo. Non c’è differenza tra tunisini, marocchini, egiziani ecc; le norme di vita sociale sono dettate in tutto il mondo islamico, quasi esclusivamente dal Corano. Ecco quindi che la semplice presenza in Europa di persone di altra cultura è un fenomeno che va seguito e studiato, perché potrebbe cambiare nell’essenza il nostro modo di essere. Proprio per questo motivo trovo di stressante attualità la sottolineatura fatta da Papa Francesco sull’apertura al dialogo con i fratelli Musulmani. Dialogo vuol dire conoscenza reciproca innanzitutto! Per secoli li abbiamo contrastati, sottomessi, temuti e isolati: ora dobbiamo conoscerli e capirne la logica di vita e di socializzazione. Ma, dialogo vuol dire anche confronto e non mera accettazione di una realtà sociale diversa dalla nostra. Non è accettabile, per esempio, che il Ministro della Cooperazione italiano (Dr. Andrea Riccardi) nel novembre scorso sia andato, presso l’università islamica al-Azhar del Cairo, a parlare di nuovi orizzonti di fratellanza, quando nello stesso momento il Presidente egiziano Morsi firmava la condanna a morte di 5 persone. Proprio perché per la nostra cultura il diritto alla vita è divenuto un valore imprescindibile, quanto accaduto in Egitto e, in altro modo in Tunisia, devono divenire motivo di aperto confronto, soprattutto nei nuovi Paesi democratici dell’Africa settentrionale.

Solo in questa maniera, tra l’altro, potrà essere anche combattuta qualsiasi forma di estremizzazione del volere radicale islamico (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), quale ancora oggi si manifesta in Mali, in Algeria, Sudan e in tutto il Sahel. A livello nazionale però, permangono altre priorità. Infatti, dal punto di vista sociale la continua espansione di questa nuova cultura in Europa rischia di porre seri interrogativi sul nostro stesso sistema di vita che si è evoluto nella storia millenaria della nostra tradizione. Ecco quindi che il concetto di “assorbire” questa nuova fascia d’immigrati diventa motivo di riflessione. Il Dialogo cui invita Papa Francesco, dovrà dunque essere preso a riferimento anche se non soprattutto sul fronte interno, magari ponendo maggiore attenzione agli aspetti formativi ed educativi in ragione della salvaguardia delle nostre reali radici culturali.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:25