L’India trattiene Mancini

C’era una volta l’immunità diplomatica. C’era una volta il motto di antica saggezza, “ambasciator non porta pena”. Le autorità indiane non conoscono né l’una, né l’altro. O per lo meno danno a entrambi un’interpretazione tutta loro. Perché dopo il rientro dei due marò italiani, ancora sotto processo in India (per un reato su cui non esistono prove fondate e avvenuto in acque internazionali) e la loro mancata restituzione, ad essere preso letteralmente in ostaggio è il nostro ambasciatore a New Delhi. Daniele Mancini non potrà lasciare il Paese ancora fino al prossimo 2 aprile. Il termine fissato dalla Corte Suprema indiana era il 19 marzo (oggi, per chi legge), ma è stato prorogato.

Il perché di questo rinvio è presto detto: la licenza dei due marò scade il 22 marzo. E come ha affermato il giudice della Corte Suprema Altamas Kabir, alla fine dell’udienza, «I marò hanno ancora tempo per tornare» e dunque: «Non hanno ancora violato l’ordine». Quindi il diplomatico, rappresentante ufficiale dello Stato italiano in India, è tenuto letteralmente in ostaggio, in attesa di una restituzione dei due marò alla magistratura di New Delhi. Secondo l’avvocato Harish Salve, che ha difeso i due marò nel corso di tutto l’anno, l’ambasciatore Mancini sarebbe reo di «oltraggio alla Corte». L’ambasciatore aveva infatti firmato un affidavit, che garantiva il rientro a Delhi di Latorre e Girone il 22 marzo, ultimo giorno di «licenza» elettorale. Salve, intervistato in un programma della tv indiana Cnn-Ibn, ha sostenuto che la magistratura del suo Paese potrebbe ignorare l’immunità garantitagli dalla Convenzione di Vienna del 1965, perché: «la nostra Costituzione stabilisce che tutti agiscano secondo gli orientamenti della Corte suprema». Eppure la Convenzione di Vienna del 1965 parla chiaro: la persona dell’ambasciatore è immune da rappresaglie persino in caso di guerra. Possibile che solo la Costituzione indiana faccia eccezione? Secondo la difesa italiana, poi, il nostro diplomatico «non ha alcuna responsabilità personale», perché «è stato unicamente il firmatario della garanzia del rientro dei marò in quanto rappresentante del governo italiano in India».

“Ambasciator non porta pena”, dunque. Ma non per gli indiani. Il giudice Altamas Kabir ha contestato fermamente la posizione presentata dai legali italiani dando una risposta quasi personale: «Abbiamo perso fiducia nel signor Mancini», avrebbe dichiarato. Siamo dunque nel bel mezzo di una disputa diplomatica del peggior tipo. O rimandiamo indietro i marò (che rischiano la pena di morte per un reato che potrebbero non aver neppure commesso), oppure potremmo assistere all’umiliante incarcerazione di un ambasciatore italiano all’estero. Visto che l’Italia è membro dell’Unione Europea, in che modo Bruxelles ci sta tutelando? In nessun modo, stando alle dichiarazioni che abbiamo ricevuto sinora. Catherine Ashton, Alta Rappresentante della Politica Estera dell’Ue, non si è neppure espressa personalmente. Ha fatto parlare un suo portavoce, che ha subito dichiarato che l’Ue «non fa parte della disputa legale» fra Italia e India e «perciò non può prendere posizione nel merito degli argomenti legali riguardanti la sostanza del caso». In ogni caso, «L’Ue esprime l’incoraggiamento a Italia e India perché trovino una soluzione amichevole nell'ambito del rispetto delle regole internazionali». Grazie sire.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:12