Piango per te, Argentina

L'Argentina ha appena approvato un protocollo d'intesa con l'Iran per esaminare in maniera congiunta l’attentato terroristico del 1994 alla sede dell’Amia, la federazione ebraica argentina, a Buenos Aires. L'esplosione uccise 85 persone e causò il ferimento di altre 300. C'è solo un problema con tale accordo: è acclarato che l'attuale regime iraniano, per il tramite del suo agente Hezbollah, è stato responsabile dell'attacco. Non è una speculazione, ma la conclusione raggiunta anni fa da parte del governo argentino! Per sottolineare ulteriormente l'assurdità di questa iniziativa, una delle persone citate dall'Argentina nel caso Amia - e, dal 2007, l'obiettivo di un “codice rosso” dell’Interpol, il che vuol dire che l’Argentina ne desidera l’arresto e l'estradizione - è, di fatto , l'attuale ministro della difesa iraniano. E l'Iran sta per consegnarlo all’Argentina come imputato in un qualsiasi processo a suo carico? Certo, come no! Questo episodio da solo basterebbe per fare della arguta satira politica, se solo la posta in gioco non fosse così alta. Dopo tutto, ciò che è accaduto nel 1994, è stato il più letale attacco terroristico in America Latina, che seguiva le orme di un precedente attacco contro l'ambasciata israeliana a Buenos Aires, che uccise 29 persone. Per anni, ho sentito proprio con le mie orecchie un governo argentino dopo l'altro promettere di arrivare fino in fondo al caso, ma, alimentata da dosi massicce di incompetenza, esitazione e corruzione, nessuna indagine ha mai fatto molta strada.

Nel frattempo, le famiglie delle vittime faticavano a fare i conti con l'assenza di giustizia, mentre molti temevano un terzo attacco in un paese che proprio non riusciva ad avere abbastanza volontà di perseguire i colpevoli. Ma poi le cose cominciarono a cambiare. Il Presidente Néstor Kirchner, che fu il marito dell’attuale leader, venne al Forum mondiale dell’Ajc, del 2004, a Washington. Qui disse con forza che l'inchiesta irrisolta era una "vergogna nazionale" agli occhi del mondo, e che la giustizia non avrebbe subito ulteriori ritardi. Un procuratore speciale molto determinato, Alberto Nisman, fu nominato nel 2005 con il mandato di andare ovunque gli elementi di prova lo avessero portato, che si trattasse dei paesi confinanti Brasile e Paraguay, o della Valle di Bekaa in Libano, a Damasco o a Teheran. Il risultato fu un rapporto che faceva i nomi di cinque militanti iraniani e un appartenente ad Hezbollah quali sospettati di essere responsabili dell'attacco, e che richiedeva pertanto la collaborazione dell’Interpol. L'Iran si è opposto alla mossa con le unghie e con i denti, utilizzando soprattutto i suoi ben testati “strumenti diplomatici” di corruzione e di ricatto. Ma alla resa dei conti del voto nel corso della riunione Interpol a Marrakech, in Marocco, l’Argentina prevalse. Quando Cristina Kirchner assunse l'incarico di Presidente nel dicembre 2007, succedendo a suo marito, lo slancio iniziale è continuato. In precedenza aveva parlato con forza del caso anche a Washington, da senatrice argentina, in occasione del Forum globale dell’Ajc nei mesi precedenti la sua elezione.

Ella notava la doppia indegnità che ciò aveva portato al suo paese: un attacco mortale contro l'Argentina e pietosamente poco da mostrare dopo anni di indagini. Quindi, perché questa nuova svolta degli eventi da parte della stessa leader, aiutata dal suo ministro degli Esteri, Hector Timerman? Perché sono così determinati a procedere con il protocollo d'intesa, anche a fronte di una valanga di critiche piovute dall'interno del paese, anche da parte di molti gruppi civici, mezzi di comunicazione, partiti politici (l'accordo è stato approvato di misura dal Senato e dalla Camera dei Deputati rispettivamente per 39 voti contro 31 e 131 contro 113) e dall'estero? La ragione più probabile, in qualsiasi modo essi scelgano di rappresentarla, sembra essere il desiderio di "riparare" i rapporti bilaterali con l'Iran. Trovare una formula per portare alla "chiusura" del caso Amia, dovrebbe "normalizzare" i rapporti, ottenendone in cambio tangibili benefici politici ed economici in Argentina. In caso contrario, temono, questo problema potrebbe trascinarsi ancora per molti anni, con l'Argentina che continuerebbe a rimanere tagliata fuori da un Iran affamato di rompere l'isolamento che gli Stati Uniti e l'Europa stanno cercando di imporre - e alla quale Buenos Aires caratterialmente non è abbastanza portata. Inoltre colpisce la pelle sottile dell'amministrazione Kirchner mostrata quando l'accordo è stato annunciato.

Si è scagliata contro i suoi critici, anche minacciando di complicare la vita all’Amia se la sua leadership avesse continuato a protestare contro il diabolico accordo con l'Iran. Ma, dopo tutto, l'Argentina è una democrazia, e quelli che non sono d'accordo esercitano il loro diritto di parlare. Inoltre, gli attuali leader dell’Amia, alcuni dei quali erano nell'edificio in quel fatidico giorno del 1994, sono ancora alle prese con il trauma di ciò che è avvenuto loro quasi 19 anni fa. Essi hanno dovuto seppellire i loro colleghi e amici, consolare i sopravvissuti e preoccuparsi costantemente dello stato della sicurezza. Se non possono esprimersi in merito a questo particolare accordo argentino-iraniano senza timore di intimidazioni o ritorsioni, allora chi ha esattamente il diritto di farlo? Ogni amico dell’Argentina, della democrazia e della giustizia dovrebbe stare con quegli argentini, ebrei e non ebrei, che si oppongono a un patto vergognoso con l'Iran che, sì, riecheggia di ingenuità, di auto-illusione e di pacificazione del passato . Oggi, io piango per te, Argentina.

(*) David Harris è direttore esecutivo dell’American Jewish Committee (www.ajc.org).

Traduzione di Carmine Monaco

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:06