L’uomo dell’Iran sale al Pentagono

«L’America ha bisogno di un uomo al Congresso, che non sia la fotocopia di tutti gli altri. Ha bisogno di un uomo come il Senatore Chuck Hagel diventi il Segretario alla Difesa. Un uomo con una mente come la sua, non farà sì che continuiate a combattere le guerre degli altri. L’America ha bisogno di un uomo al governo che abbia un’opinione diversa, che non sia telecomandato. Se il Senato non lo confermerà come Segretario di Stato a causa delle sue idee su Israele, ciò proverà ancora una volta che il Senato e il Congresso in generale sia controllato dalla lobby israeliana. E questo condannerà l’America alla guerra con l’Iran per conto dello Stato di Israele». Parola del reverendo Farrakhan, già promotore della “Marcia di un milione” di afro-americani a Washington e ben nota voce radicale dell’Islam sciita negli Stati Uniti.

Il suo desiderio è stato esaudito dal Senato: Chuck Hagel è stato approvato. Da domani sarà il nuovo Segretario alla Difesa degli Stati Uniti. La battaglia per la sua nomina è stata una delle più sanguinose nella storia contemporanea degli Stati Uniti. Bocciato clamorosamente dal Senato 12 giorni fa, martedì è stato confermato dopo due tornate di voti. Un primo scrutinio ha approvato a maggioranza qualificata la fine del dibattito sulla sua nomina. Un secondo, a maggioranza semplice, lo ha confermato alla carica di capo del Pentagono. Hagel era stato bocciato perché, in un periodo di forte tensione con l’Iran, era considerato troppo legato alla lobby di Teheran negli Usa, di cui era ospite fisso nei primi anni 2000. La sua continua opposizione alla guerra in Iraq, le sue sparate contro la “lobby israeliana” (“Sono un senatore degli Stati Uniti, non di Israele”), la sua contrarietà all’idea di un conflitto con l’Iran lo avevano, ovviamente, messo nel mirino della maggioranza assoluta dei conservatori. Ma ieri quattro Repubblicani Thad Cochran del Mississippi, Mike Johanns del Nebraska, Richard Shelby dell’Alabama e Rand Paul del Kentucky, hanno fatto il salto della quaglia ed hanno votato assieme ai Democratici.

Il caso di Rand Paul è particolarmente inspiegabile. Il senatore libertario, esponente del Tea Party, era stato, fino a questa stessa settimana, un critico implacabile di Chuck Hagel. Fresco di visita in Israele, la sua opposizione alla nomina del Segretario scelto da Obama era anche diventata una questione di bandiera, una scelta di campo. Che abbia influito il padre, Ron Paul, celebre per le sue critiche alla politica estera americana, contrarissimo alla guerra all’Iraq, contrario all’idea di uno scontro con l’Iran e critico di Israele? La spiegazione del figlio non sfiora nemmeno le opinioni del padre. Sul suo cambio repentino di intenzione di voto, Rand Paul spiega: «Ho detto più volte che riconosco al presidente alcune prerogative nella scelta dei suoi uomini di governo. Ci sono molte cose su cui non sono d’accordo con Chuck Hagel, ma spetta al presidente sceglierlo e nominarlo». Questa è anche la spiegazione che dà al quotidiano “Politico”, un anonimo assistente di un “senatore veterano” (dunque non Rand Paul): «Mantenendo Hagel sul filo del rasoio fino all’ultimo minuto, il presidente è stato costretto a consumare un volume incredibile di energia politica per mantenere allineata la sinistra filo-israeliana e i Democratici più scettici, mentre Hagel stesso è stato costretto a rimangiarsi tutte le sue precedenti dichiarazioni, pronunciate per ingraziarsi la sinistra sulla sua linea di politica estera.

Detto in sintesi: una Casa Bianca indebolita dovrà scegliere un Segretario alla Difesa che, messo alle strette, ha dovuto rinunciare a tutte le sue idee politiche e ai suoi sostenitori al fine di vincere la sua nomina. Io penso che si tratti di una vittoria dell’opposizione». Stando a questa analisi, insomma, i Repubblicani, con fare “machiavellico” avrebbero solo ritardato, ma non bocciato la candidatura di Hagel, al fine di indebolire lui e il presidente. Fosse vera, sarebbe una strategia intelligente? Harry Reid, presidente del Senato, non ha tutti i torti quando chiede: «Con questo vostro ostruzionismo, cosa ci avete guadagnato miei cari colleghi repubblicani? Dodici giorni dopo, niente. I ritardi motivati da ragioni politiche e partitiche sono solo un tremendo segnale lanciato ai nostri alleati in tutto il mondo, un tremendo segnale lanciato alle migliaia di americani che servono la patria, in divisa, in Afghanistan, in altre parti del globo e negli Stati Uniti».

Votando, anche se in ritardo, un uomo come Chuck Hagel, i Repubblicani hanno contribuito a mandare al vertice del Pentagono un uomo che non potrà affrontare in tutta serenità delle scelte difficilissime sul Medio Oriente e sull’Iran. Che abbia finto di cambiare idea, che l’abbia dovuta cambiare per forza o che l’abbia cambiata spontaneamente, a questo punto, non importa. Un anziano uomo politico, veterano del Vietnam, sinceramente contrario agli interventi americani all’estero, vittima di quella sorta di “sindrome” che fa sentire moralmente colpevoli tanti americani per il ruolo militare degli Usa nel mondo, con che faccia e con che spirito andrà a dire ai suoi sostenitori di sempre: “scusate, il ruolo me lo impone, ma adesso devo fare la guerra ai vostri fratelli e amici”? Perché, se con l’Iran falliranno tutti i negoziati, sarà proprio questo quel che Hagel dovrà dichiarare.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:18