Cina, processo alla Rivoluzione Culturale

Meglio tardi che mai, in Cina si apre un processo alla Rivoluzione Culturale dei tempi di Mao Tse-tung. L’imputato, però, non è un ex dirigente del Partito Comunista, né un ex ufficiale dell’esercito, ma un signore di 80 anni, accusato di aver strangolato una singola persona, un dottore. La sua vittima era sospettata di essere una “spia”. Come tanti altri invisi al partito. Ma come mai viene scelto proprio questo 80enne, che la stampa chiama con il soprannome di Qiu, per lavare la colpa di 10 anni di massacri? La Rivoluzione Culturale fu, di fatto, una gigantesca purga lanciata nel 1964 per volontà di Mao Tse-tung.

Il “grande timoniere”, dopo lo strappo con l’Unione Sovietica, un decennio di carestie e il fallimento del suo megalomane programma industriale (il cosiddetto “grande balzo avanti”) sentiva traballare il suo potere assoluto. Ma invece di eseguire l’epurazione dall’alto in basso, ordinando ai suoi fedeli di espellere e fucilare i membri del partito sospetti, la purga procedette dal basso all’alto. Mao, che non si fidava più di quadri e dirigenti del suo partito, fomentò la violenza nella base e nella popolazione. L’ordine di scuderia era quello di liberarsi del vecchio, dunque di tutto ciò che apparisse come un “vertice”, dall’insegnante della scuola elementare ai quadri e dirigenti locali del Partito, dal medico di campagna agli ideologi caduti in disgrazia.

In Occidente, la Rivoluzione Culturale piacque anche agli anarchici, ai movimenti studenteschi e alle sinistre extra-parlamentari: non capendo che si trattava di un modo inedito di effettuare un’epurazione di Partito, la scambiarono per una spontanea insurrezione dei giovani contro le vecchie gerarchie. Il Libretto Rosso di Mao Tse-tung, nel nome del quale venivano assassinati milioni di cinesi, divenne un vero e proprio lasciapassare culturale per ogni studente degli anni ’70. A quarant’anni di distanza dalla fine della Rivoluzione, non sappiamo ancora con certezza quanti milioni di morti vi perirono. Una stima effettuata dal politologo Rudolph Rummel, parla di 7 milioni e mezzo di vittime. Più dell’Olocausto. In Cina se ne parla ancora poco. Il rapporto con quella storia di sangue è ancora molto ambiguo.

Il Partito Comunista, in teoria, è lo stesso che ordinò la Rivoluzione Culturale. In pratica, i suoi dirigenti attuali, allora, vennero perseguitati. Tutti, anche il nuovo presidente Xi Jinping, hanno subito persecuzioni, più o meno dure, durante quel decennio rosso. Questo spiega perché il Partito Comunista ammette una critica sulla Rivoluzione Culturale, mentre non l’ammette per Tienanmen, né per le grandi purghe maoiste degli anni ’50. Il processo Qiu è sintomatico. Si è scelto uno dei milioni di uomini, cittadini comuni, trasformati in assassini spietati dalla propaganda del regime. Un uomo che strangola un dottore, credendolo una spia. Si sa bene che allora c’era una moltitudine di uomini che strangolavano, torturavano, sparavano, impiccavano moltitudini di dottori, professori, scrittori, politici, ufficiali, genitori, fratelli e amici, in modo seriale, dopo processi sommari e dopo averli costretti a fare “autocritica”, a confessare peccati o colpe che non esistevano. Li assassinavano a sangue freddo, convinti intimamente di ripulire il mondo da una feccia del passato. Ma (ed è questa la vera notizia), i cinesi non si accontentano del processo Qiu e lo fanno sapere. Lo scrivono ai quotidiani, sotto forma di lettera.

Lo dicono nei microblog consentiti dalla censura. Lo dichiarano ai media internazionali. C’è una domanda dominante: “perché processare un signor nessuno e non i responsabili del Partito di allora?” Perché, contrariamente a quel che vuol far credere il Partito di oggi, la Rivoluzione Culturale non fu un moto spontaneo. C’era chi istigava, chi armava la mano ai criminali, chi guidava le masse contro i nemici di Mao. E il primo istigatore, reo confesso, fu proprio lui, il “grande timoniere”, il cui ritratto domina tuttora l’iconografia del Partito e il cui pensiero ispira il suo programma. Se i comunisti di oggi dovessero andare a fondo sulla Rivoluzione Culturale, potrebbero distruggere tutto l’impianto di legittimità del loro regime. Ecco perché si preferisce processare un qualsiasi signor Qiu e chiudere col passato.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:39