L’America sta vivendo il suo momento da “Rivolta di Atlante”? Il romanzo filosofico di Ayn Rand, pubblicato nel 1957, continua a ispirare libertari e conservatori. Nell’utopia negativa temuta dall’autrice, fuggita dall’Unione Sovietica, gli Stati Uniti si trasformano gradualmente in un regime statolatrico in cui la libertà individuale è sempre più repressa. Non con un colpo di Stato (come era avvenuto in Russia nel 1917, con la presa del potere da parte dei bolscevichi), ma con una lenta e inesorabile rinuncia alle libertà da parte dei cittadini stessi. Il Senatore Ron Johnson, imprenditore e politico repubblicano, ritiene che gli Usa abbiano ormai preso questa china. Intervistato da Laurie Rice, della Atlas Society (associazione che diffonde il pensiero oggettivista, la filosofia di Ayn Rand), Johnson sostiene che gli americani siano ormai come un gruppo di rane: «in una pentola in cui l’acqua viene fatta riscaldare poco alla volta fino all’ebollizione. Stiamo perdendo la nostra libertà senza rendercene conto. Il motivo della mia entrata in politica è l’approvazione della riforma sulla sanità, che penso sia il più grande assalto alla nostra libertà, almeno fra quelli a cui ho assistito nel corso della mia vita». L’Obamacare, che prevede l’assicurazione sanitaria obbligatoria per la maggioranza dei cittadini americani, può essere intesa come un primo passo verso la nazionalizzazione.
È un esempio di cura statalista introdotta subdolamente, senza che i pazienti se ne accorgano. Ma non è l’unico. Johnson, la cui azienda produce apparecchiature mediche per il sistema sanitario, cita anche altre forme di vessazione statale. Controlli sulla qualità, per esempio, ridondanti rispetto al necessario. Fanno perdere tempo e decine di migliaia di dollari. E poi ci sono le tasse, oltre alle nuove regole, che scoraggiano chiunque dall’aprire una nuova attività. «Quando parlo con imprenditori che hanno avviato la loro impresa negli anni ’70 e ’80 – spiega Johnson – mi dicono sempre: “Ron, non ce n’è: con le regole che ci sono adesso e questo livello di tassazione, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di avviare la mia azienda, se avessi deciso di farlo oggi”. E sono preoccupato dal fatto che una gran parte babyboomers (i cinquantenni nati nel boom delle nascite, ndr), che oggi sono imprenditori di successo, possano scrollarsi di dosso tutto il loro fardello. Con tutte le tasse e le regole che abbiamo, possono semplicemente decidere di mollare tutto».
L’ipotesi del romanzo “La Rivolta di Atlante” è proprio questa: che i più produttivi e creativi imprenditori, artisti, intellettuali e scienziati d’America si scrollino di dosso il loro fardello e si ritirino in beata solitudine nel Galt’s Gaulch, l’utopia capitalista creata dallo scienziato e imprenditore John Galt. Il personaggio è frutto della fantasia della Rand, ovviamente. E non c’è alcun rifugio per capitalisti nascosto nelle Montagne Rocciose, come l’autrice aveva immaginato e sperato. L’evasione delle menti migliori d’America, oggi, potrebbe avvenire sotto forma di una fuga di capitali. O di una mera chiusura delle loro attività. Secondo Johnson non siamo lontani da questo momento: «Vedo due soglie d’allarme che stiamo superando. La prima è la soglia finanziaria. Stiamo parlando della crisi del debito, del momento in cui i nostri creditori stranieri guarderanno agli Stati Uniti e diranno: “non voglio più prestar loro nulla, almeno non a questo tasso di interesse”. I tassi aumenteranno e i loro costi esploderanno, compromettendo tutta la nostra spesa pubblica. L’altra soglia che stiamo varcando è culturale.
Stiamo rassegnandoci a una mentalità della dipendenza, estranea alla tradizione americana. L’America – e ciò di cui parla “La Rivolta di Atlante” – è fondata sull’aspirazione individuale a costruire qualcosa di nuovo. A farsi una vita migliore e, quale conseguenza, a creare un mondo migliore. Se adottiamo una mentalità in cui la gente è semplicemente contenta di sedersi su quel che ha e attendere che il governo badi ai suoi affari, il nostro Paese sarà veramente in pericolo». Da politico conservatore quale è, Ron Johnson ritiene che l’America sia «qualcosa di troppo prezioso nella storia umana. Non mi arrenderò mai, non smetterò mai di sperare in questa nazione e spero che nessuno si arrenda». Il Senatore vede la storia dell’umanità come «…una continua lotta per la libertà. Ed è per questo che sono entrato in politica, perché vedo che la libertà in America è in pericolo. Io definisco sempre questo Paese come un esperimento iniziato 236 anni fa. È un’innovazione preziosa e sono molto preoccupato dal fatto che la stiamo perdendo».
Cosa direbbe Ron Johnson se vivesse in Europa? Ne “La Rivolta di Atlante”, il Vecchio Continente è perduto. Le sue democrazie liberali sono state rimpiazzate da Repubbliche Popolari di stampo sovietico. La Rand non aveva alcuna speranza che nel resto dell’Occidente (America a parte) potesse esserci la forza necessaria a contrapporsi alla collettivizzazione. Perché in Europa manca una cultura dell’individuo e della sua libera iniziativa. Oggi, paradossalmente, ci sono Paesi europei economicamente più liberi degli Stati Uniti. La Svizzera, ad esempio, ma anche la Danimarca, secondo l’Indice della Libertà Economica del 2013, sono molto più aperte rispetto agli stessi Usa. Ma non ci si deve illudere: sono le eccezioni che confermano la regola. Le soglie di allarme sul debito e sulla cultura della dipendenza sono già state ampiamente superate in Italia, così come in Spagna, Grecia, Francia, Portogallo e in gran parte dei Paesi continentali occidentali. Le uniche ribellioni a cui assistiamo, da questa parte dell’Atlantico, non sono quelle degli imprenditori troppo vessati da regole e imposte. Depardieu fugge (da solo) dalla super-tassa del 75% voluta dai socialisti francesi, ma la stampa lo considera un traditore. In Italia, Spagna e soprattutto in Grecia, l’onda crescente dell’indignazione si rivolta contro i capitalisti, gli evasori, la finanza e le banche, mai contro lo Stato.
Anzi: i cittadini chiedono a gran voce sempre più potere statale, perché vogliono più sicurezza e non più libertà. In Grecia sono già passati alla fase successiva della “Rivolta di Atlante”: alla formazione di movimenti irrazionali, populisti e reazionari, potenzialmente dittatoriali. Al fallimento del settore pubblico, chiedono ancora più nazionalizzazioni. Abbiamo decisamente superato la soglia di allarme culturale. Ma da noi esiste, non dico un John Galt, ma almeno qualcuno che inizi a desiderarne l’arrivo?
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:14