Questione curda, ora in Turchia si tratta

Non si conoscono ancora gli autori e i mandanti dell’omicidio delle tre militanti del Pkk – il Partito dei lavoratori del Kurdistan, organizzazione armata che si batte per un Kurdistan indipendente – uccise nell’Istituto di cultura curdo in Rue Lafayette a Parigi, nella notte tra il 9 e il 10 gennaio scorso. Si sospetta che si sia trattato di un attentato organizzato per bloccare le trattative in corso tra Ankara e Abdullah Öcalan, il fondatore e leader storico dei guerriglieri del Pkk, rinchiuso in isolamento da 13 anni nel carcere di Imrali, un’isola del Mar di Marmara. Nella piazza Batikent di Diyarbakir, città del sud-est dell’Anatolia, si è svolta la cerimonia funebre davanti ad un imponente schieramento di polizia e, a differenza di altre volte, non si sono verificati episodi di violenza né da parte dei manifestanti né da parte delle forze dell’ordine.

I partecipanti erano per lo più vestiti di nero e indossavano una sciarpa bianca, a sottolineare la volontà di pace dei curdi, così come era stato chiesto dai leader del Bdp, il Partito della pace e della democrazia, che in Parlamento sostiene la causa del popolo curdo e dallo stesso Öcalan. Appare evidente che sia il Bdp che il Pkk non hanno voluto trasformare i funerali in una occasione per una grande protesta. Ci si domanda da più parti se tutto questo sia un segno chiaro della maturità politica del Partito della pace e della democrazia e se i turchi curdi abbiano finalmente un riferimento democratico nel Bdp. 

Tutto dipenderà dall’esito dei negoziati in corso per il cessate il fuoco e per il disarmo auspicato dell’organizzazione armata Pkk, che, come sappiamo, è una organizzazione clandestina presente dal 2002 nella black list del terrorismo stilata da Unione europea, Stati Uniti e Turchia. In questa delicata iniziativa di pace non è soltanto Öcalan a giocare un ruolo di importanza decisiva; in essa, infatti, è coinvolto tutto il movimento filocurdo legale. Alle trattative in corso tra il Mit, l’intelligence turca e Öcalan partecipano anche Selahattin Demirtas, leader del Partito della pace e della democrazia, rappresentato da più di 30 deputati alla Grande Assemblea Nazionale, e parlamentari provenienti dalle fila del disciolto partito Dtp, e che oggi fanno parte del gruppo degli indipendenti come l’ex leader Ahmet Türk. Si è creato dunque un importante canale di comunicazione e di dialogo tra i rappresentanti del governo e l’ala più estrema e intransigente del movimento curdo. 

Ahmet Türk, a differenza di Selahattin Demirtas, è un leader più moderato e si ispira ai modelli autonomistici che si sono affermati nel Regno Unito, in Spagna e in Italia, in materia di minoranze etniche e linguistiche. Egli invoca una riforma costituzionale che si ispiri dunque a quei modelli e non guarda soltanto alle aree abitate prevalentemente da curdi ma a tutto il paese, in una visione di decentramento antistatalista. 

Come Demirtas e tutti i leader della galassia del movimento curdo, Türk ha sempre ritenuto che fosse necessaria la negoziazione col Pkk, sottolineando che ciò era avvenuto anche in altri paesi europei, nei confronti dei rispettivi movimenti indipendentistici. Vi sono inoltre segni evidenti del fatto che lo stesso presidente del Consiglio Erdogan ha sempre cercato, seppure in gran segreto, una interlocuzione col Pkk. E adesso ci troviamo davanti a un fatto storico: per la prima volta, dalla nascita della Repubblica, un governo turco ha dichiarato ufficialmente di avere intrapreso una trattativa con il partito della lotta armata. Tuttavia non ci meravigliamo di ciò, avendo lo stesso Erdogan sostenuto la necessità di una interlocuzione anche con Hamas, organizzazione palestinese considerata terroristica al pari del Pkk.

E lo ha fatto, pubblicamente a Kanal 7, proprio nell’infuocato mese di luglio della scorsa estate, al culmine dell’escalation senza precedenti di attentati terroristici. In quei drammatici giorni Öcalan dichiarò a suo fratello, nel corso di una visita, di essere contrario ad una recrudescenza dell’uso della violenza da parte del Pkk e che si sarebbe reso disponibile a fare da garante per una nuova tregua, dopo il fallimento di quella del luglio del 2011. Ed è così che nelle settimane scorse si sono verificati importantissimi progressi nel dialogo tra governo, Bdp e Pkk. Tanto che ci si aspetta un nuovo cessate il fuoco. 

Da alcune indiscrezioni sembrerebbe che si siano messi d’accordo su un nuovo regime penitenziario meno restrittivo per Öcalan. Gli è stato infatti concesso l’uso della televisione e inoltre egli può ricevere visite, come quella di suo fratello, che è anche un importante tramite con l’organizzazione armata. Anche se non si è ancora raggiunto un accordo per la deposizione delle armi, sarà possibile per i guerriglieri lasciare il territorio turco per raggiungere I’Iraq e forse la Siria. Si dice che sia stata imposta ad essi una scadenza precisa: quella di maggio. 

Sul piano politico i curdi otterrebbero l’abolizione dei reati di apologia del terrorismo. A tale riguardo vi è da dire che in parlamento è già stata presentata una legge che permetterebbe a oltre 1000 esponenti del Kck, l’Unione delle Comunità curde (che è considerata l’ala urbana del Pkk), tuttora in prigione, o sotto processo, di essere scarcerati o prosciolti. Altro punto cruciale della trattativa è l’inserimento nella nuova Costituzione del riconoscimento dei diritti delle minoranze. Si discute anche di una amnistia, che permetterebbe ai numerosi guerriglieri in azione sulle montagne di ritornare a casa se non risultassero coinvolti in atti di terrorismo. 

Grandi speranze, dunque. Ma alcune domande si pongono e sono oggetto di grande dibattito sulla stampa turca. Öcalan e il Bdp sono interlocutori credibili per realizzare la pace? Öcalan è ancora il leader del variegato partito armato? Il Pkk è una organizzazione frammentata in varie sigle, in varie correnti spesso in contrapposizione tra loro. Alcuni suoi membri non ritengono più affidabile il fondatore, perché ammalato, perché provato da tanti anni di prigionia e di isolamento. Non molti mesi fa, sul quotidiano curdo Gündem, il leader del Pkk nel Nord Iraq, Murat Karayilan, aveva detto che Öcalan non era più la guida riconosciuta del partito armato, e che egli stesso invece lo era diventato. Sicuramente Öcalan è un leader storico, un leader carismatico ancora molto amato che ha ancora una grande capacità di influenzare almeno una parte significativa del movimento indipendentista. Per quanto riguarda il BDP, vi è da dire che esso è molto più rappresentativo rispetto al Partito dei lavoratori del Kurdistan. Infatti quando si chiede ai turchi curdi se il PKK li rappresenti, il 70 per cento di essi dice di no. 

Sono lontani i tempi in cui la parola «curdo» non poteva essere ufficialmente pronunciata, e i curdi venivano definiti «turchi di montagna», e poi, dopo il colpo di Stato del 1980, «turchi orientali». Dal 2002 la «questione curda», infatti, ha cessato di essere un tabù; da quando è al potere il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) – conservatore e di ispirazione islamica, guidato dal premier Erdogan – essa ha occupato da subito un posto rilevante nell’agenda politica; l’AKP ne ha fatto da sempre un tema importante in quanto terreno di prova della propria volontà di democrazia effettiva, di rispetto dei diritti delle minoranze e più in generale dei diritti umani. Si sono visti subito significativi progressi sulla tormentata strada della pace, e tutto faceva bene sperare.

Il processo di adesione all’Unione europea è stato un potente catalizzatore di tale mutato atteggiamento. Il 12 agosto 2005, in visita ufficiale a Diyarbakir, Recep Tayyip Erdogan pronunciò un discorso cruciale in cui non solo riconobbe i curdi, ma parlò dell’esistenza di una «questione curda» e degli errori compiuti in passato dallo Stato. Fu una dichiarazione importante, che andò ben oltre le parole pronunciate da Demirel nel 1991, con le quali si riconosceva la «realtà curda», o quelle di Mesut Yilmaz, che successivamente affermò che per arrivare in Europa la strada sarebbe dovuta passare per Diyarbakir. Nel 2009 iniziarono, nell’ambito delle emissioni statali, le trasmissioni di TRT6, un canale interamente in lingua curda. Erdogan rilanciò la questione promovendo un riavvicinamento al Kurdistan iracheno, ma soprattutto avviando, con una serie di consultazioni con politici e intellettuali, un’iniziativa di governo, una politica di riforme ad hoc, che ha preso il nome significativo di «apertura democratica». 

Le trattative in corso suscitano legittime speranze perché si svolgono in un mutato e favorevole contesto politico, culturale ed economico e all’interno di uno scenario regionale che si sta trasformando. Il tempo dei curdi sembra essere arrivato: essi stanno facendo il loro ingresso nella scena politica e storica del Medio Oriente. Ora questa presenza deve essere istituzionalmente riconosciuta da tutti gli attori della regione. 

Con la tragica guerra civile in atto in Siria si sta aprendo una concreta prospettiva di autonomia per i curdi siriani; infatti le forze del regime di Bashar al-Assad, a partire dalla scorsa primavera, hanno perso il controllo di gran parte della regione curda confinante con la Turchia, una regione ricca di petrolio, poiché i lealisti sono stati costretti a concentrare le proprie energie nella difesa delle città più importanti del paese come Aleppo e Damasco. Alcuni osservatori sostengono che Damasco aiuti in chiave antiturca e in modo consistente l’Unione democratica curda, il Pyd, considerata una diramazione siriana del Pkk, e questo sarebbe uno dei motivi per cui i curdi siriani si limitano a difendere il proprio territorio e a non schierarsi a fianco dei ribelli. Questi ultimi da allora hanno istituito posti di blocco, issato bandiere curde, e cominciato a esercitare un certo grado di autonomia senza precedenti. Si tratta di una straordinaria occasione per una comunità a lungo oppressa e discriminata dal regime di Assad, e che ora minaccia di sconvolgere un pluridecennale equilibrio geopolitico che coinvolge la Siria, la Turchia e l’Iraq. 

Attualmente, nel nord della Siria è in corso una battaglia tra le milizie curde e diverse fazioni radicali della resistenza siriana per il controllo di Ras al-Ain e i suoi dintorni lungo il confine con la Turchia. Repressi da sempre dal regime, i curdi sono poco propensi a restare fedeli al governo di Assad. Tuttavia, sono ancora meno propensi al nazionalismo arabo e a un eventuale regime radicale sunnita che si instaurasse nel periodo post-Assad. Questo è il motivo per cui sono rimasti in disparte durante la guerra civile ed è questo il motivo per cui i villaggi curdi e le città sono stati in grado di evitare i bombardamenti da parte degli aerei di Damasco. 

Tutto ciò sta facendo nascere nel governo di Ankara il timore di una possibile alleanza tra Pkk e Pyd per la costituzione di una regione curda indipendente in Turchia. Non a caso si dice che sia parte dell’accordo in corso con Öcalan l’obiettivo di favorire l’alleanza tra i curdi del Pyd e l’opposizione siriana. Le preoccupazioni di Ankara si sono moltiplicate in questi ultimi mesi; gli sforzi della Turchia per il controllo dei curdi siriani tramite Massoud Barzani non hanno funzionato perché la leadership del Kurdistan iracheno è troppo occupata a proteggersi da Bagdad, dominata dagli sciiti. Inoltre, il futuro dell’Iraq non è ancora chiaro. La dissoluzione del paese potrebbe portare all’indipendenza di un Kurdistan iracheno che emergesse da un conflitto curdo-arabo e fra sunniti e sciiti. In entrambi i casi, infatti, Erbil, la capitale del Nord Iraq, potrebbe aver bisogno dell’aiuto e del sostegno del Pkk.

Inoltre c’è da dire che la sola opzione militare è diventata una strategia talmente onerosa, soprattutto in termini di vite umane, che la maggior parte dei cittadini turchi ha cominciato a metterne in discussione la convenienza. Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, che è al governo, coltiva da sempre l’ambizione di rendere la Turchia un leader regionale e un attore globale e sembra rendersi conto che senza risolvere il «problema curdo» nessuno di questi obiettivi è realizzabile. Senza contare che, essendoci le elezioni presidenziali alle porte, si desidera affrontare questa competizione in un clima reso molto favorevole dalla soluzione di tale questione considerata un passaggio fondamentale e ineludibile verso una compiuta democrazia. Sembra dunque che sia proprio arrivato il tempo dei curdi. 

* Direttore della rivista “Diritto e Libertà”

www.dirittoeliberta.it

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:49