Pyongyang testa i nervi di Usa e Cina

È il momento della terza crisi nucleare con la Corea del Nord. Dopo i test del 2006 e del 2009, il regime di Pyongyang annuncia un prossimo esperimento atomico sotterraneo. Immagini satellitari americani rileverebbero preparativi in corso già da dicembre. La dinamica a spirale di quest’ultimo braccio di ferro ricorda molto da vicino le due crisi precedenti. Prima la Corea del Nord provoca, poi l’Onu risponde, infine il regime “eremita” effettua il suo test nucleare, la minaccia peggiore possibile. Finora, a questa escalation sono seguiti mesi di tensione, ulteriori sanzioni e infine un certo rilassamento delle relazioni. Fino alla provocazione successiva. L’ostilità, in quest’ultimo caso, è iniziata a dicembre, con il lancio, a sorpresa, di un missile a lungo raggio Taepo- dong 2. Pyongyang lo ha definito un esperimento “pacifico”, volto solo a mandare in orbita un satellite per le telecomunicazioni.

Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti, però, hanno mangiato la foglia: lo stesso Taepo-dong 2 è un missile balistico intercontinentale a tutti gli effetti. Dunque, testandolo, i nordcoreani non hanno solo mandato un “oggetto” in orbita, ma hanno sperimentato, nella pratica, una possibile arma da impiegare contro il territorio degli Stati Uniti. Da qui a dire che gli Usa siano già sotto la minaccia nordcoreana, ce ne passa: prima di mettere a punto un missile balistico intercontinentale pienamente operativo, i comunisti coreani hanno ancora bisogno di anni di test e sviluppo tecnologico. Ma, da un punto di vista americano, è comunque meglio mettere le mani avanti e prevenire il pericolo quando è ancora controllabile. L’amministrazione Obama, sin da dicembre, ha dunque agito attraverso l’Onu per imporre nuove sanzioni a Pyongyang.

E gli Usa sono riusciti ad ottenere almeno una parte di quello che chiedeva: con voto unanime (Cina inclusa), il Consiglio di Sicurezza ha approvato un compromesso fra la linea dura americana e la linea morbida cinese. Quel che è passato, martedì, è nuovo pacchetto di misure restrittive contro l’agenzia spaziale nordcoreana, una banca, alcune imprese commerciali e quattro personalità economiche del “regno eremita”. È stata sanzionata la Banca della Terra d’Oriente, accusata di aggirare le sanzioni già in vigore e di mantenere contatti con istituti creditizi iraniani, a loro volta sanzionati. Le imprese colpite sono la Kumryong Trading Corp., la Tosong Technology Trading Corp., la Korea Ryonha Machinery Joint Venture Corp. e la Leader International, tutte accusate di aver fornito la tecnologia necessaria al test incriminato. Le personalità nordcoreane colpite non sono alti dirigenti dello Stato, ma personalità direttamente legate al programma missilistico e nucleare. L’Onu promette “azioni più dure” in caso di futuri test nucleari.

L’impatto di queste sanzioni, all’atto pratico, potrebbe risultare insufficiente a fermare i programmi nordcoreani. «È solo un piccolo schiaffo sulla mano», secondo un analista di Seul, Kim Yong-hyun. Ma è il valore politico della nuova risoluzione Onu che dovrebbe preoccupare il giovane leader Kim Jong-un: la Cina ha votato a favore delle sanzioni. E non è cosa da poco. Il regime di Pechino è l’unico sostegno vitale (economico, oltre che diplomatico) rimasto al regno eremita. È solo grazie alla Cina e ai suoi rifornimenti che arrivano dal confine settentrionale, che la Corea del Nord può sfamarsi, avere il carburante minimo indispensabile e mantenere un piedi un esercito ancora degno di rispetto. Negli Stati Uniti, sia l’amministrazione Bush che la successiva di Obama, hanno puntato molto sul ruolo della Cina, con più o meno successo. È solo Pechino che può ottenere il rispetto di Pyongyang. Come da copione, però, la prima risposta di Kim Jong-un alle sanzioni è un’ulteriore provocazione.

L’annuncio del nuovo test nucleare sotterraneo potrebbe mettere a dura prova anche lo stesso ruolo della Cina. Adesso che Pechino ha già approvato un primo round di sanzioni, potrebbe spingersi oltre e votare una risoluzione più dura, all’Onu, a test avvenuto? O la Repubblica Popolare giocherà ancora il ruolo di unico protettore del regno eremita? Nel primo caso, una mossa troppo dura del regime cinese potrebbe minarne la credibilità interna, mostrando “arrendevolezza” nei confronti degli Stati Uniti. Nel secondo, invece, verrebbe sminuita la sua credibilità internazionale, soprattutto agli occhi degli altri membri del Consiglio di Sicurezza. Più che testare le proprie armi atomiche, insomma, Kim Jong-un sta già testando la pazienza degli alleati cinesi. È una prova difficile pure per gli Stati Uniti, anche se la posta in gioco è diversa. Non è ancora in ballo la sicurezza nazionale.

Per ora non c’è alcuna minaccia imminente che richieda una reazione militare. Come già detto, passeranno ancora altri anni prima che il territorio nordamericano finisca seriamente nel mirino dei nuovi missili nordcoreani. Per ora è comunque in gioco la credibilità del deterrente degli Stati Uniti. E non è certo un problema nuovo. Sin dalla fine della Guerra Fredda, come sostiene l’esperto di strategia James Jay Carafano (Heritage Foundation), gli Usa non hanno una chiara strategia nucleare. Il bipolarismo aveva permesso di stabilire alcune regole del gioco: nessuna delle due superpotenze avrebbe dovuto avere la possibilità di iniziare un conflitto atomico. La capacità di sopravvivere e prevalere in un conflitto nucleare prolungato (come teorizzato da Herman Kahn) o l’abilità di annientare il nemico anche con le sole forze sopravvissute a un suo primo colpo (Mutual Assured Destruction) avrebbero comunque dissuaso l’avversario dal compiere la prima mossa.

Negli ultimi vent’anni, però, qualsiasi regola è stata messa in discussione. Nessuno conosce quale sia, realmente, la dottrina di impiego delle armi nucleari della Corea del Nord. Nessuno può prevedere quale sia quella dell’Iran, se dovesse dotarsene. Nessuno può mettere la mano sul fuoco che queste nuove potenze atomiche siano razionali quanto lo sono state Usa e Urss a suo tempo. Ed è già molto alto il numero di potenze nucleari “indipendenti”, che sfuggono alla vecchia logica del bipolarismo, come Israele, India, Pakistan, Cina e anche la stessa Francia. Per non parlare della possibilità che qualche ordigno atomico finisca nelle mani di un gruppo terrorista. Il “deterrente” non è più una garanzia di sicurezza. Specie di fronte a schegge impazzite, come il regime di Pyongyang.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:05