Obama e rivoluzione collettivista

Come volevasi dimostrare, vinto il suo secondo mandato presidenziale, Barack Obama punta a cambiare il volto degli Stati Uniti. Tenta di rimettere mano alla Costituzione, a reinterpretandola radicalmente. «Ricordiamo che ciò che tiene insieme questa nazione non è il colore della nostra pelle o i dogmi della nostra fede o l’origine dei nostri nomi – dice Obama, che ha origini kenyote ed è l’incarnazione del sogno americano - Ciò che ci rende eccezionali, ciò che ci rende americani, è la nostra fedeltà a un’idea, articolata in una dichiarazione fatta più di due secoli fa: “Noi riteniamo queste verità di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”». Benissimo.

Ayn Rand, ispiratrice di gran parte del pensiero repubblicano contemporaneo, avrebbe detto esattamente le stesse cose. Ma, a questo punto, fuggendo lei da un regime totalitario, avrebbe coerentemente tratto la conclusione che il sistema americano è l’unico in cui l’individuo può trasformare liberamente in realtà le sue idee, senza essere vincolato da un monarca o da una tirannia della maggioranza. Obama, invece, trae la conclusione opposta dalle chiare parole della Dichiarazione di Indipendenza: «Abbiamo imparato che nessuna unione fondata sui principi di libertà e di uguaglianza potrebbe sopravvivere se l’uomo è metà schiavo e per metà libero. Noi siamo fatti per rinnovarci, per andare avanti insieme. Insieme, abbiamo stabilito che una moderna economia necessita di ferrovie e strade per velocizzare viaggi e commerci, scuole e università per formare i nostri lavoratori.

Insieme, abbiamo scoperto che un libero mercato prospera solo quando ci sono delle regole volte a garantire la concorrenza e la correttezza. Insieme abbiamo deciso che una grande nazione deve avere cura per i più vulnerabili, e proteggere il suo popolo dai peggiori pericoli della vita e le disgrazie». La schiavitù di cui Obama parla, evidentemente, non si riferisce alla malnata istituzione abolita da Lincoln 150 anni fa, ma alla “schiavitù” come era intesa da Roosevelt e dai socialisti europei: quella del bisogno. Dove è il problema? Se permetti a una parte di americani di liberarsi dalla “schiavitù” del bisogno, devi necessariamente imporre la schiavitù (senza virgolette) del prelievo fiscale e della redistribuzione coercitiva della ricchezza, da chi produce a chi non produce. Era questo il sogno della Rivoluzione Americana? No, semmai questo era il sogno di tutte le rivoluzioni europee. E queste ultime, come insegna la storia del Novecento, hanno prodotto solo mostri: i regimi totalitari nei casi peggiori, fallimentari socialdemocrazie (che ora mostrano il conto) nei migliori. Obama, nonostante tutto, sceglie questo modello.

Il presidente si rende conto di proporre un cambiamento radicale e lo dimostra nel suo passaggio successivo: «Abbiamo sempre capito che quando i tempi cambiano, dobbiamo cambiare anche noi; che la fedeltà ai nostri principi fondatori richiede risposte nuove alle nuove sfide, che preservare le nostre libertà individuali richiede in ultima analisi, l’azione collettiva. Il popolo americano non può più soddisfare le esigenze del mondo di oggi, agendo da solo. Nessuna singola persona può preparare tutti gli insegnanti di matematica e scienze. Avremo bisogno di preparare i nostri figli per il futuro, o costruire le strade e le reti ferroviarie e laboratori di ricerca che porterà nuovi posti di lavoro e imprese sulle nostre coste». Durante la campagna elettorale del 2012, Obama aveva coniato il motto “You didn’t build that” (non lo hai costruito) per veicolare un messaggio profondamente anti-individualista: nessuno può farsi da sé, tutti hanno bisogno di essere inseriti in un’azione collettiva. In questo discorso, il presidente spiega lo stesso concetto in modo ancora più dettagliato. Ribalta la filosofia fondante degli Stati Uniti, secondo cui una società è un insieme di individui e la società sana è quella fatta da individui sani.

Per Obama è la società che costruisce e forma gli individui. Dunque lo Stato, facendosi portavoce e agente degli interessi della società, deve porsi alla guida delle azioni individuali, crea dall’alto posti di lavoro, si sostituisce agli imprenditori. Mira alla redistribuzione della ricchezza: «Noi, il popolo, capiamo che il nostro Paese non può avere successo quando alcuni riescono a fare molto bene e un numero sempre più grande di persone invece fatica a fare. Noi crediamo che la prosperità degli Stati Uniti debba poggiare sulle spalle larghe di una classe media emergente. Sappiamo che l’America prospera quando ogni persona può trovare l’indipendenza e l’orgoglio nel proprio lavoro, quando il salario del lavoro onesto libera le famiglie dal baratro di disagio». Ma siamo sicuri che questo sia il segreto del successo del modello americano? Fuggendo dalle monarchie e dalle dittature del Vecchio Continente, milioni di individui di talento hanno costruito il benessere del Nuovo Mondo proprio perché hanno potuto arricchirsi (“fare soldi”, come diceva, senza mezzi termini, Ayn Rand) senza essere costretti a donare gran parte del prodotto della loro fatica a un re, a un dittatore, o a un governo socialista. Non è la redistribuzione della ricchezza, a un’astratta “classe media”, che ha fatto grande l’America.

È il talento, la creatività, lo spirito intraprendente dei bistrattati ed egoisti “robber barons” del XIX Secolo che ha reso l’America un Paese dotato di telegrafi, ferrovie, strade, porti e navi a vapore, scuole e università, biblioteche e musei, ospedali e opere filantropiche (tutto rigorosamente privato) più di tutti i concorrenti europei. Le ultime rivoluzioni industriali, quelle del Personal Computer e di Internet, sono frutto della creatività di talenti individuali che solo in America hanno potuto esprimere liberamente tutto il loro potenziale. È la ricaduta della loro ricchezza nel mercato libero che ha creato la “classe media” e le ha permesso di vivere meglio dei proletari e dei borghesi contemporanei in Europa e nel resto del mondo. Obama lo sa, ma rifiuta di dirlo, al pari di tutta la classe accademica e intellettuale contemporanea americana. Preferisce dare ascolto alla paura e alla frustrazione di milioni di americani colpiti dalla crisi, dando loro in pasto una facile e rassicurante soluzione governativa: “ci penso io a sfamarvi”. A spese di chi? La risposta sarà data dai contribuenti americani nei prossimi quattro anni.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:10