Obama, il presidente che divide gli Usa

Un presidente per unire o un presidente per dividere? Il Barack Obama che si è presentato ieri, in pubblico, per la ripetere la cerimonia di insediamento (la prima si è svolta, a porte chiuse, il 20 gennaio alla Casa Bianca, come previsto dal calendario ufficiale) è un presidente al suo secondo mandato che vuole riunificare un Paese profondamente diviso. Ha giurato sulla Bibbia di Abraham Lincoln, il presidente repubblicano che ricucì gli Usa lacerati dalla Guerra Civile (1861-1865). E anche sulla Bibbia di Martin Luther King, protagonista indiscusso della lotta per i diritti civili negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, amato dai progressisti e dai conservatori.

Piccolo problema: la nazione è divisa a causa di Obama o nonostante il suo sforzo di riunificazione? Quattro anni fa la situazione non era tutta rose e fiori, ma nel 2008, in ogni caso, il voto per Obama era stato molto più trasversale.

Nelle elezioni del 2008, Obama era stato votato dal 44% dei bianchi, mentre il 53% aveva scelto John McCain. Nel 2012, solo il 39% dei bianchi ha di nuovo scelto il presidente democratico, mentre il 59% (una delle percentuali più alte nella storia recente degli Usa) ha votato per Mitt Romney. È una chiara indicazione che, in questi quattro anni di amministrazione Obama, si è approfondita la spaccatura fra bianchi e minoranze etniche nelle scelte politiche fondamentali degli Stati Uniti. Da un punto di vista delle ideologie, fra gli estremi gli equilibri sono rimasti quasi inalterati: nel 2008 i progressisti (liberal) avevano votato Obama all’89%, mentre nel 2012 la percentuale è leggermente scesa all’86%; fra i dissidenti, i liberal che hanno votato a destra erano il 10% nel 2008 e l’11% nel 2012. Fra i conservatori, nel 2008, ben il 20% aveva votato Obama, nel 2012 la percentuale è leggermente scesa al 17%. È fra i moderati che si nota un maggior flusso di voti: il 60% dei cittadini che non si definiscono né progressisti né conservatori, nel 2008, aveva votato per il presidente democratico (e il 39% aveva scelto McCain), mentre nel 2012 questa percentuale è scesa al 56% e il voto per Romney è salito al 41%.

Ragionando per ideologie, insomma, Obama ha vinto perché è riuscito (a fatica) a mantenere il voto dei progressisti e un buon margine di dissenso dei conservatori, mentre ha perso buona parte del vantaggio fra gli elettori meno ideologici e più indecisi. Da un punto di vista partitico, il voto del 2012 è stato decisamente più “fazioso” rispetto a quello del 2008: i cittadini registrati democratici avevano scelto Obama all’89% nel 2008 (mentre un 10% di dissidenti aveva votato McCain); nel 2012, invece, il 92% dei Democratici ha votato per la riconferma del proprio presidente e solo il 7% ha disertato e optato per Romney. Stesso scenario, speculare e contrario, nel Partito Repubblicano: nel 2008, il 9% dei cittadini registrati come elettori del Gop aveva disertato il proprio campo e scelto Obama e il 93% aveva votato McCain; nel 2012 solo il 6% ha votato per il presidente e sempre il 93% gli ha preferito Romney. Obama, invece, non è più riuscito a conservare il favore degli indipendenti (elettori né democratici, né conservatori): il 52% aveva votato per lui nel 2008, nel 2012 questa percentuale è ridotta al 45% (mentre il 50% ha cambiato idea e ha scelto Romney). È dunque evidente che il presidente ha vinto il suo secondo mandato quasi solo grazie al voto militante dei Democratici e alla loro maggiore affluenza alle urne.

Se si guarda alle mappe elettorali degli Usa, l’allargamento della spaccatura è più evidente fra Nord e Sud. Guardando alla carta degli stati, nel 2008, la Virginia, la North Carolina e la Florida, nel Sud, avevano votato decisamente per il presidente democratico. Nel 2012, invece, la Virginia ha riconfermato Obama (e praticamente solo per il voto della sua capitale, Richmond), mentre la North Carolina ha scelto Romney e in una Florida profondamente divisa, si sono dovuti attendere giorni e giorni di conteggio prima di stabilire che aveva ancora vinto il democratico. Per il resto, il Sud è e resta un lago rosso (colore repubblicano). Ma, sempre parlando di mappe elettorali, fa ancora più impressione vedere quella sul voto delle contee. Nel 2008 le aree blu e quelle rosse si mischiavano in modo più armonico. La mappa del 2012, invece, è costituita da poche enclave blu (le grandi città) circondate da una marea rossa repubblicana. In pratica, le campagne conservatrici stanno assediando le metropoli progressiste. Infine, ma non da ultimo, è solo dopo queste elezioni del 2012 che alcuni stati, soprattutto il Texas, chiedono l’indipendenza dagli Usa. Lo fanno solo simbolicamente, sotto forma di petizioni alla Casa Bianca. Ma il segnale è lanciato ed è forte e chiaro.

Nel discorso inaugurale sono importanti anche le presenze e le assenze degli ex presidenti, che dovrebbero garantire, almeno simbolicamente, una continuità storica. Ebbene: erano presenti solo quelli democratici: Clinton (1992-2000) e Carter (1976-1980). Dalla parte repubblicana, Reagan (1980-1988) è morto, ma Bush padre (1988-1992) e soprattutto Bush figlio (2000-2008) erano i grandi assenti. Per il padre, ricoverato di recente, c’è la giustificazione della salute. Ma per il figlio non si può dire altrettanto. E va ricordato che, la sua presenza all’inaugurazione del primo mandato di Obama, nel 2009, era stata accolta dai fischi di una folla militante come non mai.

I simboli stessi, le Bibbie scelte dal capo di Stato per il suo giuramento, possono dare adito a qualche dubbio sulla sua imparzialità. È vero che Lincoln fu un riunificatore e fu repubblicano. Ma è altrettanto vero che fu la sua elezione nel 1860 a dividere gli Usa, a causa della sua inflessibilità di presidente del Nord (industriale e protezionista) contro un Sud che allora era schiavista, agricolo e libero-scambista. Conta anche la data: il 1863, di cui cade il 150mo anniversario, è l’anno della Legge sull’Emancipazione che abolì la schiavitù dei neri (tranne che nel Maryland, che era Unionista e poté rimanere schiavista fino alla fine del conflitto: ipocrisie di guerra). La Bibbia di Martin Luther King è stata scelta dal primo presidente afro-americano come simbolo di continuità della lotta per l’emancipazione iniziata proprio in quel lontano 1863. Da un punto di vista politico, il chiaro intento di Obama è quello di presentarsi come il presidente delle minoranze etniche, soprattutto dei suoi fedeli elettori afro-americani. Una scelta per dividere, non per riunire una nazione multi-etnica.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:53