Il discorso di Assad non convince

Bashar al-Assad riappare sulla scena mediatica nazionale, dopo mesi di latitanza. E lo fa alla sua maniera. L’ultima apparizione tv risale allo scorso ottobre. Il presidente si era mostrato alle telecamere della Tv di Stato impegnato nella preghiera, in una mosche di Damasco, durante i festeggiamenti per l’Eid el-Adha. In quel frangente il presidente non aveva rilasciato alcuna dichiarazione. L’ultimo discorso alla nazione, in ordine di tempo, risale al giugno scorso in occasione dell’insediamento del nuovo parlamento siriano. Il copione è sempre uguale. Le sue apparizioni pubbliche sono curate nei minimi particolari; dalla scelta della location al pubblico scelto. E anche la sostanza dei suoi discorsi alla nazione non cambia. Il discorso di inizio anno è stato pronunciato nella Casa dell’Opera di Damasco, sita nella centralissima piazza Umayadd. Una scelta non casuale, dettata dalla volontà di ribadire la sua fermezza nel rimanere ben saldo al potere. Ad accogliere il presidente una folla festante e slogan scanditi a più riprese, come “Dio, Bashar, Patria Siria, e basta”.

Poi il silenzio. Luci soffuse e drappi rossi a fare da cornice, mentre fuori dal Teatro giacciono morti e macerie. Al momento si contano 60.000 vittime, secondo i dati forniti recentemente dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. È chiaro fin da subito che il suo non è un discorso di pace, ma di avvertimenti e minacce lanciate ai suoi acerrimi nemici. Più che un invito al dialogo, sembra essere una velata dichiarazione di guerra. Di seguito i passaggi più significativi del suo monologo. “Non vi sarà alcun dialogo con le marionette dell’Occidente. C’è chi vuole spartirsi la Siria e dividere così il Paese, noi – ha sottolineato Assad – non siamo disposti a negoziare con chi vede la Siria agli stranieri”. I traditori ai quali il dittatore si rivolge, definendoli “criminali e terroristi”, sono tutti quei gruppi armati sostenuti dagli occidentali e dalle monarchie del Golfo Persico. La domanda sorge spontanea. Con chi intende dialogare e riconciliarsi il presidente siriano? “Noi dialogheremo solo con coloro che non hanno tradito o venduto la Siria”, sottolinea il presidente. Per Assad, la guerra in corso da quasi due anni oramai, è una guerra tra la nazione Siria e il Nemico Esterno e non un conflitto tra opposizione e regime. “La relazione tra gli oppositori e il regime doveva rimanere interna e non diventare un affare di politica internazionale”.

Ecco cosa prevede il piano di pace di Assad, distinto in tre fasi. Il primo riguarda tutte quelle forze “dentro e fuori il Paese interessate a una soluzione”. Le potenze esterne dovranno cessare ogni rifornimento di armi a “gruppi terroristici”. Solo in quel caso l’esercito porrà fine alle operazioni militari, pur riservandosi il diritto di difendere gli interessi dello Stato. Successivamente, il governo di Damasco indirà appunto una conferenza di riconciliazione con “i singoli siriani e partiti politici” che non “hanno tradito la Siria”, con l’obiettivo di redigere una carta costituzionale, la quale dovrà difendere la sovranità e l’unità della Siria. La Costituzione verrebbe quindi sottoposta a referendum, e nel pieno rispetto della Carta costituzionale si terrebbero elezioni parlamentari per la formazione di un nuovo governo, espressione di tutte le componenti della società siriana. Il terzo punto prevede appunto la formazione di un nuovo governo, e una volta creato si procederà con la ricostruzione delle infrastrutture distrutte e con i risarcimenti ai cittadini. Nel complesso risulta essere un discorso equilibrato, volto alla ricerca di una soluzione pacifica.

Ma a stridere è senza dubbio il presupposto di base del discorso in sé, perché Assad di fatto ha annullato ogni possibile dialogo con tutti i movimenti che aderiscono alla Coalizione Nazionale siriana, apertamente armati e sostenuti dalla Turchia, dai Paesi Occidentali e dalla Lega Araba (Qatar e Arabia Saudita in primis). Dalle prime pagine dei quotidiani nazionali arabi si sono levate le reazioni più accese, come riporta il sito della BBC. Su Al-Watan/Arabia il discorso di Assad “è l’ennesimo tentativo di dare al regime più tempo per uccidere. Assad ha ignorato il suo popolo e le richieste della comunità internazionale, ostacolando di fatto un processo pacifico di transizione politica”. Al Sharq al Awsat UK (sempre saudita) sottolinea come il “discorso di Assad è arrogante e totalmente scollegato dalla realtà circostante; pertanto è impossibile raggiungere un accordo politico”. Critiche sono arrivate anche dal quotidiano qatariota in lingua inglese, The Peninsula, “Assad è apparso in pubblico dopo diversi mesi, ha parlato di un piano d’azione per raggiungere la pace, ma in definitiva non ha offerto nulla di nuovo. Pertanto la comunità internazionale dovrebbe reagire. È tempo di accordare un intervento…”.

Il quotidiano in lingua inglese di Abu Dhabi, The National, scrive: “Se il mondo vuole aiutare i siriani, c’è un solo modo: rafforzare il sostegno ai ribelli”. E se le petrol-monarchie del Golfo auspicano un futuro intervento in Siria, c’è chi invece continua ad offrire sostegno incondizionato al governo centrale di Damasco. Si tratta dell’Iran. Il ministro iraniano ha invitato l’opposizione e la comunità internazionale a “cogliere l’opportunità” offerta da questo piano al fine di ristabilire “la sicurezza in Siria”. Non si è fatta attendere la risposta dell’opposizione siriana, che ha respinto su tutta la linea la proposta di Assad definendola “vuota e retorica”. Per l’opposizione, l’unica condizione contemplata è la resa del presidente, ma questa per il momento è pura utopia. Assad non intende mollare la presa, e i ribelli continuano a combattere. Pertanto, il processo di stabilizzazione interna del Paese è rimandato a data da destinarsi.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:12