La vera faccia (liberale) di Klaus

Alla faccia del “nazionalista di estrema destra”: Vaclav Klaus, per celebrare il ventennale di indipendenza della Repubblica Ceca, ha proclamato l’amnistia per 7000 carcerati, giudicati non pericolosi. Un gesto liberatorio per celebrare un evento di liberazione. Come ultimo atto della sua presidenza, ormai avviata alla scadenza, ha scelto di compiere un’azione pannelliana, per usare i termini della politica italiana. Una cosa di sinistra. Un atto opposto alla “destra forcaiola”. Eppure, quelle poche volte che si parla di Klaus, spuntano fuori i soliti luoghi comuni. Secondo cui è un presidente reazionario, destrorso, nazionalista. Mai narrativa è stata più distante dalla realtà di un ex dissidente arrivato ai vertici del suo Stato. Come si è venuta a creare questa dissociazione? Prima di tutto perché, evidentemente, in tutti i Paesi che contano nell’Unione Europea è sparita una vera cultura liberale classica.

Chiunque proponga una visione differente (rispetto al pensiero socialista e democristiano) sul modello economico, sul multiculturalismo, sul futuro dell’integrazione europea e sull’ambiente subisce la marchiatura di “destrorso”, nelle sue varie declinazioni più o meno gentili. Geert Wilders, un libertario, è etichettato come “xenofobo”, perché osa dire che l’integralismo islamico è incompatibile con la società aperta. Nigel Farage, anch’egli libertario, è spacciato per “nazionalista e razzista”, perché osa protestare contro il progetto di unità politica europea e mostra più di un dubbio sull’immigrazione incontrollata. Klaus, più moderato rispetto agli altri due, passa comunque per “nazionalista” per motivi simili. Osa opporsi a ben tre tabù. Prima di tutto non crede e non ha mai creduto nella maggiore unità politica dell’Ue. Quando la Repubblica Ceca divenne presidente di turno dell’Unione, Klaus citò il liberale classico Frédéric Bastiat e sostenne che dalle frontiere passa il burro o passano i cannoni. La vera causa della pace, in Europa, è il libero commercio, la libera circolazione di merci, capitali, servizi e persone. Non uno Stato unitario europeo.

In sede non ufficiale, ma in ben più di un’intervista, Klaus sostenne che una maggior unità politica dell’Europa può renderci più simili alla defunta Unione Sovietica che non al mondo delle democrazie liberali. Se ogni nazione protegge la sua economia nazionale, ma, allo stesso tempo, vuole maggior centralizzazione dei processi decisionali europei, non abbiamo più la pace, ma la guerra di tutti contro tutti per imporre i propri interessi. È per difendere la libertà e la pace, non tanto la sua particolare e piccola nazione, che il presidente ceco si è opposto con tutte le sue forze al processo costituente europeo. Il secondo tabù che Klaus ha osato violare è sull’ambiente. Ha sempre messo in dubbio quello che, per i politici, è una certezza: l’idea che sia l’uomo a provocare, con la sua attività industriale, il riscaldamento globale. Klaus non crede che si debba limitare la crescita e vincolare l’attività umana nel nome di un fenomeno tuttora dubbio, quale è e resta “global warming”. Da ex dissidente, ritiene che l’ecologismo possa diventare il totalitarismo del futuro.

I regimi dittatoriali, infatti, hanno sempre fatto leva sulla paura. Si reggono sul terrore dell’inconoscibile: del mercato, di nemici esterni, di poteri forti segreti. L’ecologismo fa leva sulla paura di una catastrofe apocalittica e impone leggi sempre più liberticide. Ci vuole coraggio per sfidare questa angoscia diffusa. Klaus lo ha avuto, in tutti questi anni, pur essendo membro di un’Unione Europea che, ormai, è l’unica grande portabandiera della battaglia contro il “global warming”. Ma ancora più coraggio il presidente ceco lo ha avuto quando ha sfidato i luoghi comuni sulla crisi economica. È uno dei pochissimi che non attribuisce la colpa al libero mercato, bensì allo statalismo e ai suoi eccessi di spesa. Conseguentemente è uno dei pochi leader europei che hanno sostenuto un rimedio liberista per la crisi e scoraggiato nazionalizzazioni e interventi di stimolo economico. E la Repubblica Ceca non ha subito mai la recessione ai nostri stessi livelli. Per questi precisi motivi, sia i popolari che i socialisti (più simili fra loro di quanto non si creda) lo ritengono un “nazionalista”. Perché si oppone ai progetti che entrambi i grandi partiti vorrebbero imporre agli europei. Ora, però, ci devono spiegare perché un uomo di “estrema destra” decreta un’amnistia e si comporta da liberale.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:45