Il Venezuela dopo Hugo Chavez

Il Venezuela ha iniziato questo 2013 senza un presidente. Hugo Chavez è ancora in ospedale a Cuba. Il suo vicepresidente Nicolas Maduro è ancora a Cuba al capezzale del suo superiore. Fino al 31 dicembre governava provvisoriamente il ministro dell’Energia Elettrica, Hector Navarro, ma il suo incarico è scaduto con la fine dell’anno. Dunque il Venezuela è formalmente libero dopo un decennio di presidenza autoritaria del leader del “Socialismo del XXI Secolo”. In realtà il Venezuela non è ancora libero. Perché, benché la poltrona presidenziale sia vacante, l’apparato messo in piedi da Chavez è ancora in piedi e in buona salute. Da un punto di vista formale, la decisione fondamentale per il cambio di leadership dovrebbe avvenire il 10 gennaio, quando il presidente dell’Assemblea Nazionale dovrà stabilire se l’assenza del presidente è temporanea o permanente. Se è ritenuta permanente, dovranno essere indette nuove elezioni. Sulle reali condizioni di salute del “comandante” vige il silenzio più totale. Si conoscono solo indiscrezioni su complicazioni polmonari dopo l’ultimo intervento che ha affrontato. Da un punto di vista politico, se esistesse una forza politica di opposizione forte, sarebbe il momento giusto per un golpe più o meno “bianco”.

La minoranza, organizzata nella Coalizione per l’Unità Democratica (Mud), non sembra dell’idea. Non solo per motivi culturali, ma anche perché, per fare un golpe, ci vuole il sostegno di almeno una parte dell’esercito. Nel 2002 c’erano ancora quadri e vertici delle forze armate ancora ostili a Chavez e fu per questo motivo che venne tentato il suo spodestamento. A undici anni di distanza l’esercito è stato tutto inquadrato sotto gli stendardi della rivoluzione bolivariana, epurato e indottrinato. L’ipotesi di un golpe è dunque molto remota. Il Mud può comunque tentare la sorte nelle prossime elezioni. In quelle del 2012, per la prima volta, l’opposizione democratica si è presentata compatta dietro a un candidato forte, il giovane Henrique Capriles Radonski. Ed è riuscita a prendere il 44,31% dei voti in un Paese in cui media, istituzioni e forze dell’ordine sono monopolizzati o quantomeno infiltrati pesantemente dal Partito Socialista Unito di Chavez. Nel 2013, in caso di assenza del “comandante”, Maduro avrebbe il carisma necessario a vincere nuove elezioni? In caso di confronto/scontro elettorale, il popolo venezuelano sarà chiamato a compiere una scelta esistenziale.

Da un lato la prosecuzione del bolivarismo è rassicurante. La narrativa di governo evidenzia l’opera delle “misiones” per l’aiuto dei poveri delle favelas, l’uscita dalla povertà degli strati più bassi della popolazione. Il bolivarismo vende un patriottismo a buon mercato contro gli americani (accusati di ogni male), gli ebrei (visti come cospiratori) e le multinazionali (cacciate o espropriate). Guarda a Cuba quale modello ispiratore, ma riesce a coniugare il marxismo-leninismo di Castro con un cattolicesimo progressista che piace al popolo. Per chiunque riesca ad andare oltre alla retorica ufficiale, però, il Venezuela, dopo la “cura” Chavez resta uno dei fanalini di coda dell’America Latina, nonostante sia il principale esportatore di petrolio della regione. Per chiunque sappia leggere e capire i numeri, il Paese lasciato dal quindicennio bolivariano conta 1168 aziende espropriate più o meno arbitrariamente dal governo, del 118mila e passa omicidi (con tassi di mortalità da far invidia all’Iraq e all’Afghanistan), dei 4 miliardi di debito pubblico. Senza contare gli abusi di potere, a tutti i livelli, le squadre di irregolari “bolivariani” che spadroneggiano nelle strade, le continue intimidazioni e le violenze contro media indipendenti e oppositori politici. Nel caso Chavez sparisca di scena, i venezuelani dovranno scegliere per la “rassicurante” retorica rivoluzionaria o per la loro libertà. Sempre che possano scegliere.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:00