Susan Rice getta la spugna

Cronaca di una resa annunciata. Ieri l’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Susan Rice, si è ritirata dalla competizione per subentrare a Hillary Clinton alla segreteria di Stato. In una lunga e addolorata lettera aperta, pubblicata sul Washington Post, l’ambasciatrice ha spiegato che: «Quando è diventato chiaro che la mia potenziale candidatura avrebbe dato inizio ad una lunga guerra fra partiti, ho concluso che sarebbe stato un errore far continuare questo dibattito, distraendo tutti dalle priorità nazionali: creare posti di lavoro, far crescere l’economia, affrontare il deficit, riformare le leggi sull’immigrazione e proteggere la nostra sicurezza nazionale». Il dibattito fazioso di cui la Rice parla, però, riguarda un tema veramente scottante di sicurezza nazionale: come è stato possibile che un ambasciatore statunitense sia stato ucciso in Libia? E perché la stessa Susan Rice, nelle sue prime dichiarazioni pubbliche, ha negato che si trattasse di un atto di terrorismo? È stata per prima la Rice a parlare di un “moto spontaneo” di protesta contro un oscuro video su YouTube, poi “degenerato” in modo “imprevedibile” fino alla morte dell’ambasciatore Stevens. Adesso, però, l’ambasciatrice preferisce scaricare la colpa sulle agenzie di intelligence e lascia intendere di essere stata mandata allo sbaraglio dalla Casa Bianca: «Lo scorso 16 settembre, quando la segretaria di Stato Hillary Clinton non era disponibile dopo una settimana intensa, la Casa Bianca ha chiesto a me di comparire in cinque diversi talk shows per discutere di diversi argomenti di politica estera: le proteste contro le nostre sedi diplomatiche, l’attacco di Bengasi e il programma nucleare iraniano – scrive la Rice nella sua lettera aperta – Quando ho parlato di Bengasi, mi sono basata interamente su documenti non classificati dell’intelligence, che comprendevano le loro più precise conclusioni di allora». La versione dell’ambasciatrice americana all’Onu non coincide affatto con la testimonianza di David Petraeus (ex direttore della Cia, recentemente dimissionario) che, al contrario, ritiene che l’intelligence fosse perfettamente al corrente della natura terroristica dell’attacco di Bengasi, almeno sin dal 12 settembre (4 giorni prime le prime dichiarazioni televisive di Susan Rice). Questa è quella che l’ambasciatrice definisce “lunga guerra fra partiti”? Diciamo, piuttosto, che è un tentativo di far luce su uno dei peggiori scandali della politica estera statunitense. I cui contorni, per altro, sono ancora totalmente oscuri.

La Rice, però, potrebbe essere stata silurata dai Democratici. Un’opinionista liberal, come Dana Milbank (Washington Post), già scriveva nei giorni scorsi che l’ambasciatrice fosse «mal equipaggiata per arrivare al vertice della diplomazia nazionali, per ragioni che esulano dalla Libia». Un carattere brusco, mancanza di autorità, qualche gaffe del passato sono stati tutti citati dalla stampa americana. Secondo fonti vicine alla Casa Bianca, Hillary Clinton preferisce decisamente John Kerry quale suo successore. E sarà lui, adesso, con tutta probabilità, a guidare la politica estera americana.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:33