A Gaza tacciono le armi

Mercoledì sera, alle ore 19, è iniziata la tregua fra Hamas e Israele. Il negoziato in Egitto ha avuto un esito positivo. A Gaza la vita ricomincia, ma iniziano anche le vendette e le esecuzioni di Hamas a danno di tutti coloro che sono accusati arbitrariamente di “collaborazionismo” con gli israeliani. Proprio nell’ultimo giorno di conflitto, sei uomini sono stati fucilati. Il cadavere di uno di essi è stato legato a un motorino e trascinato dai suoi esecutori per le vie della città, come “esempio” per tutti. Sono le ultime immagini di un conflitto scatenato dall’organizzazione terrorista, che non si dà affatto per vinta.

Hamas canta vittoria. Fino all’ultimo istante ha lanciato razzi contro il territorio israeliano e rivendicato (sia pur indirettamente) un attentato a un autobus di Tel Aviv. La tregua, come sempre, è vista dai guerriglieri islamici, come un metodo per guadagnare tempo, riorganizzarsi e rilanciare l’offensiva in tempi migliori. Non ne hanno mai fatto mistero. Ma chi ha vinto e chi ha perso, realmente, questo round? Israele ha trattenuto un’offensiva di terra e si è limitato a raid aerei. Il governo di Benjamin Netanyahu, dal canto suo, può vantare di aver concluso il conflitto con il minimo della forza militare e senza provocare una crisi ancora più grave.

Il breve conflitto ha dato un’opportunità a nuovi e vecchi governi di mettersi alla prova in una prova di forza nel Medio Oriente. Dopo un biennio di rivoluzioni e di novità, in questa settimana di sangue si è ripetuto il vecchio scenario, che vede contrapporsi arabi e israeliani. L’Egitto di Morsi, pur avendo un governo e un sistema politico nuovi, si è comportato come il vecchio Egitto di Mubarak. I timori degli israeliani per un presidente esponente dei Fratelli Musulmani (“cugini maggiori” di Hamas), finora si sono rivelati infondati: il nuovo capo dello Stato ha rispettato il trattato di pace con lo Stato ebraico, pur sfidando un’opinione pubblica più desiderosa che mai di entrare in guerra. Alla fine, come “ai bei vecchi tempi” del dittatore Mubarak, è stato l’Egitto a negoziare e ottenere la tregua. La partita principale è stata giocata dall’Iran, che ha cercato di ripresentarsi nel Medio Oriente come il paladino dei musulmani contro lo Stato ebraico. Teheran ha fornito armi e soldi a Hamas, i razzi Fajr a lungo raggio (quelli sparati contro Tel Aviv e Gerusalemme) e tutta l’assistenza morale possibile. Ma l’Iran partiva in grande svantaggio: appoggiando il dittatore Bashar al Assad ha perso il consenso di gran parte dell’opinione pubblica araba e persino la fiducia incondizionata della stessa Hamas. In appena una settimana di scontri, l’Iran non è riuscito a recuperare tutto il terreno perduto. Soprattutto: non è riuscito a far passare l’Egitto dalla sua parte, benché all’inizio della crisi questa mossa sembrasse possibile. Alla fine, il fronte islamista anti-israeliano non ne è uscito visibilmente rafforzato. È Israele, semmai, che è riuscito a superare, indenne, anche questa difficile prova.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:45