Il terrorismo torna a Tel Aviv

I razzi, evidentemente, non bastavano. Quindi iniziano le bombe. Ne è esplosa una, ieri, su un autobus di Tel Aviv, sulla linea 142. Non ci sono morti, ma 23 feriti, tre dei quali sono rimasti in ospedale. L’esplosivo ha comunque ridotto in rottame l’autobus di linea e avrebbe potuto provocare una strage, se l’attentatore fosse stato più “fortunato”. Lo shock è forte in Israele, perché a Tel Aviv gli attentati dinamitardi non si registravano più di sei anni. L’ultimo, avvenuto nell’aprile del 2006, aveva ammazzato 11 persone alla vecchia stazione centrale dei bus. Si era alla vigilia della Seconda Guerra Libanese ed erano ancora freschi i ricordi dei continui attacchi suicidi della Seconda Intifadah.

Per Israele coesistere con un conflitto in casa propria è ormai una tragica abitudine. Sei anni di tregua a Tel Aviv apparivano già come una grande conquista. Dalla settimana scorsa, però, questa condizione di pace illusoria era già stata interrotta improvvisamente dal lancio di razzi. Anche in quel caso era stato battuto un primato: il primo allarme missili dal 1991, da quando era Saddam Hussein a lanciare i suoi Scud su Israele. Da ieri tornano anche le bombe sugli autobus, un pericolo subdolo, da cui è ancora più difficile difendersi. Per un allarme missili si può sempre correre nei rifugi e sperare che le batterie di Iron Dome (il sistema anti-balistico leggero israeliano) facciano il loro dovere, intercettando gli ordigni in cielo. Per una bomba non c’è allarme che tenga: si muore o si resta feriti all’improvviso. Tel Aviv è nota per la sua gioia di vivere, con i suoi locali aperti tutta la notte e tutte le notti, i suoi artisti, i suoi giovani, la sua enorme spiaggia che somiglia ad una Miami Beach del Medio Oriente. Dopo questa settimana di guerra, stando a chi ci vive, è diventata un mezzo deserto. Ora che è stato colpito un autobus tornerà anche la paura di muoversi, andare a scuola o al lavoro.

La polizia israeliana non è ancora riuscita a mettere le mani sull’attentatore, ma le rivendicazioni si sprecano. In una gara a chi vanta di più il tentativo di uccidere civili israeliani, sia le Brigate Al Aqsa (braca militare del partito “moderato” Fatah, che governa l’Autorità Palestinese), sia Hamas plaudono l’attacco. Al Aqsa lo rivendica direttamente, ma non ci sono prove per accusarla formalmente. Hamas lo plaude, ma non si spinge sino alla rivendicazione. Sono ancora in corso i negoziati al Cairo, per cercare di porre fine alla guerra a Gaza e Hamas vuol dunque apparire come un interlocutore affidabile. Quando la notizia si è diffusa nei media palestinesi, la gente di Gaza è scesa in strada a festeggiare. L’Iran, nel frattempo, ha confermato, ufficialmente e orgogliosamente, di inviare aiuti militari e finanziari a Hamas, per aiutarlo a colpire Israele. Lo ha annunciato ieri, in tono trionfale, il presidente del parlamento di Teheran, Alì Larijani, un “moderato”, lo stesso che ha svolto, negli scorsi anni, il ruolo di mediatore sulla crisi nucleare.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:31