Laura Boldrini: il dramma dei rifugiati

Per capire il dramma della Siria, lasciando agli analisti il compito di teorizzare sul destino del suo leader e sul futuro politico del Paese, occorre leggere e interpretare questa crisi in termini di vite umane coinvolte. E non si parla solo degli oltre 25mila morti finora accertati, secondo i dati forniti dal Centro di documentazione delle violazioni in Siria (aggiornate al 17 settembre), bensì anche del fenomeno in costante crescita di sfollati e rifugiati. A tutto ciò si aggiunge l’ormai noto immobilismo della comunità internazionale, la saturazione dei Paesi confinanti e il paradosso siro-iracheno. I numeri che di seguito riportiamo descrivono, seppur parzialmente, la situazione drammatica che da 19 mesi a questa parte sta riducendo la Siria in brandelli. Recentemente L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha fornito gli ultimi aggiornamenti sull’esodo siriano, denunciando l’acuirsi della crisi degli sfollati e dei rifugiati accolti, questi ultimi, entro i confini turchi, libanesi, iracheni e giordani. “Triplicato in tre mesi il numero dei rifugiati siriani”, si legge in un comunicato stampa diffuso dall’Agenzia delle Nazioni Unite il 2 ottobre scorso. Il triplo rispetto ad appena tre mesi fa. Secondo gli ultimi dati, sono complessivamente 311.500 i rifugiati siriani registrati nei quattro Paesi ospitanti, contro i 100mila di giugno.

L’Opinione ha intervistato Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, in merito al dramma degli sfollati e dei rifugiati siriani. «La crisi siriana – ha affermato la portavoce – per essere compresa in tutta la sua tragicità dev’essere considerata in una duplice prospettiva, dentro e fuori i confini siriani, poiché al dramma dei rifugiati scappati al di là dei confini nazionali, si affianca anche il dramma degli sfollati rimasti dentro la Siria». L’acuirsi della violenza armata - a cavallo dei mesi estivi - ha fatto registrare un aumento vertiginoso del numero di sfollati costretti a cercare riparo in scuole, moschee ed edifici pubblici. Nel solo mese di luglio sono state 7000 le persone che hanno dovuto trovare rifugio nelle residenze universitarie; 350 le persone stipate all’interno di 32 scuole. Senza contare le migliaia di famiglie in condizioni di estrema necessità da assistere: 300 quelle registrate quotidianamente dalla Mezzaluna Rossa Araba Siriana e dalle altre associazioni umanitarie che operano sul territorio. «E al dramma di lasciare le proprie abitazioni bombardate e ridotte in macerie – sottolinea la Boldrini – si aggiunge anche il dramma di vivere la condizione di sfollati per ben cinque o sei volte, prima di lasciare la Siria e oltrepassare i confini nazionali». Secondo una stima recente fornita dalla Croce Rossa Internazionale, gli sfollati all’interno della Siria sfiorano i due milioni di persone.

Una cifra impressionante e destinata ovviamente ad aumentare con l’inasprirsi dei combattimenti. E non si contano tutti gli sfollati che attendono alle frontiere turche, libanesi, irachene e giordane. Ma l’emergenza umanitaria non si registra solo entro i confini siriani; anche nei paesi ospitanti la situazione non è affatto tranquilla. Per alleggerire il carico sulle spalle dei Paesi che hanno deciso di aprire le frontiere e concedere ospitalità, l’Unhcr ha pronto il Piano d’Intervento in vista dell’Inverno. «L’Agenzia ha preventivato oltre 64 milioni di dollari – ha spiegato la portavoce dell’Unhcr – per i preparativi in tutta la regione, fornendo così assistenza ad almeno 59mila famiglie, per un totale di 500mila persone soccorse entro la fine dell’anno. Oltre a somme in denaro, saranno forniti anche aiuti non alimentari, quali stufe e fornelli a kerosene». La vita all’interno dei campi profughi allestiti al confine turco, libanese, iracheno e giordano non è sempre facile. Il 3 ottobre scorso un gruppo di rifugiati nel campo di Atma, a ridosso della frontiera con la Turchia, ha indetto uno sciopero della fame per richiedere l’apertura definitiva della frontiera turca. La richiesta non è stata accettata dal governo turco che preferisce mantenere temporanea l’apertura delle frontiere, al fine di evitare un sovraccarico. Anche a Camp Za’atari, nel nord della Giordania e inaugurato il luglio scorso, la situazione non è rosea. In soli tre mesi di vita, il campo ha accolto 36mila rifugiati.

Tre settimane fa la Giordania ha inaugurato un nuovo campo profughi, a venti km dalla città di Zarqa. A riferirlo il quotidiano arabo Elaph. Alle difficoltà da parte delle autorità locali nel gestire un numero crescente di profughi, si aggiunge un altro problema: la capienza all’interno dei campi stessi. Sia in Libano, sia in Turchia il numero dei rifugiati ha superato quota 100mila, e anche in Iraq la situazione non è rosea. Al momento si contano 39.036 di rifugiati siriani, dislocati soprattutto nella regione del Kurdistan. Come ricorda la portavoce dell’Agenzia Onu, al dramma dei rifugiati, degli sfollati, si affianca anche la tragica vicenda dei rifugiati iracheni scappati a loro volta da un conflitto. La diaspora di un milione di iracheni verso la Siria era iniziata negli anni compresi tra il 2006 e il 2008. A distanza di cinque anni l’incubo si ripete. Dal mese di giugno sono 44.833 gli iracheni che hanno lasciato la Siria per rientrare in Iraq. Il governo iracheno ha predisposto dei voli privati per rimpatriare i cittadini con passaporto iracheno, e nel contempo ha edificato dei campi profughi per i siriani nel nord dell’Iraq. «La storia si ripete – ha sottolineato Boldrini – come in un tragico gioco della parti, in cui i rifugiati di ieri sono gli ospitanti di oggi e viceversa. A distanza di anni proprio l’Iraq si trova a ricoprire il ruolo di Paese ospitante».

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:48