Incertezza sulle presidenziali

Passata la bufera “Sandy”, New York riprende a vivere la sua frenetica vita. E ricomincia a pieno regime anche la campagna elettorale “congelata” per tre giorni. Barack Obama può farsi forza della gestione dell’emergenza. Un sondaggio di Abc/Washington Post rivela che 8 americani su 10 giudichino bene la sua performance. E, sempre a proposito di sondaggi, il presidente in carica può essere confortato dalla media dei rilevamenti nazionali e locali effettuata da Real Clear Politics. A soli tre giorni dall’apertura delle urne, l’attuale inquilino della Casa Bianca è testa-a-testa nei sondaggi nazionali (un recupero, rispetto al leggero svantaggio delle settimane scorse), ma in lieve vantaggio negli “swing states” che contano: nell’Ohio, dove si giocherà la partita decisiva, è avanti di 2,3 punti; in Colorado di 0,6 punti, nel Nevada di 2,6 punti, nel Wisconsin di 3,7 punti, nell’Iowa di 2,2 punti. Se il voto andasse come prevedono questi sondaggi, Obama conquisterebbe la vittoria aggiudicandosi 290 Grandi Elettori, contro i 248 di Romney.

Ma non tutto è oro quel che luccica, per il presidente uscente. È vero che, in Ohio, il leader democratico è sempre stato in testa… sino a questa settimana. Da alcuni giorni a questa parte, però, l’istituto Rasmussen attribuisce a Romney un vantaggio di 2 punti. È un dato in controtendenza. Come minimo rivela che la partita non è ancora chiusa nel “Buckeye State”. Così come non la è nel Wisconsin, terra del vicepresidente Paul Ryan e del riconfermato governatore repubblicano Scott Walker, reduce dalla vittoria referendaria contro i sindacati dei lavoratori pubblici. E nemmeno nell’Iowa, dove il più prestigioso quotidiano locale, il Des Moines Register, ha dato il suo endorsement al candidato repubblicano. Con una mossa inattesa, la campagna di Romney sta iniziando ad “aggredire”, con spot televisivi e comizi, anche tre stati finora solidamente democratici: Michigan, Minnesota e Pennsylvania, dove il candidato democratico è sotto il 50% delle preferenze.

Inoltre, come constata lo stratega repubblicano Karl Rove (artefice della vittoria di George W. Bush nel 2004), non ci sono solo previsioni. Si deve tener conto dei voti già dati nella tornata pre-elettorale. Nel campo di battaglia principale, l’Ohio, si nota una certa erosione dei consensi per i Democratici registrati (circa 181mila voti in meno rispetto al 2008) e un aumento di quelli per i Repubblicani (quasi 76mila in più, sempre rispetto al 2008). Fra gli elettori che hanno votato prima del “super martedì”, i giovani (sotto i 30 anni) repubblicani battono quelli democratici di circa 3000 unità. Dunque, se Obama contava di guadagnarsi un margine elettorale inattaccabile nei giorni del pre-voto, queste cifre dimostrano che tale margine non c’è più. Probabilmente perché, come commenta lo storico Victor Davis Hanson, il “cool factor” di Obama, cioè l’entusiasmo unanime della classi pensanti per il primo presidente nero e progressista, ecologista e pacifista, sta rapidamente svanendo dopo 4 anni di dura realtà.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:56