L’Ue non vuole sicurezza per Israele

Per molti anni, l’Ue ha fatto pressione per una soluzione a due Stati del conflitto israelo-palestinese. In effetti, i funzionari europei hanno affermato che un tale accordo è un obiettivo strategico fondamentale. Il mio è il pensiero di una persona che frequenta le capitali europee, condivide l’obiettivo di un duraturo accordo a due Stati e il valore del ruolo potenziale dell’Europa. Non è sufficiente pensare a come arrivare da qui al giorno dell’accordo. Maggiore attenzione deve essere data in Europa agli scenari del “giorno dopo”, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza di Israele. In caso contrario, il potenziale miglioramento diventa solo più difficile.

In ogni possibile accordo ipotizzato, allo Stato di Israele verrebbe chiesto di cedere territorio, rendendo la piccola nazione ancora più difficile da trovare su una mappa del mondo. Questo crea ulteriori rischi. Non c’è un altro possibile modo di vedere le cose.

Israele si trova in una regione del mondo in cui la violenza rimane endemica, i regimi sono fragili e l’Islam politico è in crescita.

Ma qualche volta ho l’impressione che in Europa gli interventi in merito alla sicurezza di Israele sono poco più che retorica - una parte del copione previsto quando si parla della regione - ma non sempre sono sufficientemente ponderati.

Riassumendo in maniera visiva tale dissonanza cognitiva, in Europa vi sono angosciate manifestazioni di orrore per quello che sta avvenendo in Siria, mentre ben poca importanza viene data al fatto che la Siria, di fatto, condivide un confine con Israele. Ora immaginate per un momento come starebbero le cose se gli obiettivi di Assad fossero stati gli ebrei e non gli arabi! Nel frattempo, Hezbollah controlla il Libano, un altro Stato confinante con Israele, anche se con un esercito e un arsenale diversi. È attivo in Siria e rimane un cliente dell’Iran. Eppure, l’Europa, minando la credibilità della sua voce, non è ancora in grado di dichiarare che Hezbollah è stato, fin dall’inizio, un gruppo terroristico. Che sia anche un partito politico “legittimo” o che possa (o meno) aiutare “le vedove e gli orfani” è del tutto irrilevante, data la sua visione del mondo genocida e le documentate attività terroristiche. Hamas è radicata a Gaza, un terzo vicino di Israele e, come Hezbollah, aspira ad un mondo senza Israele. Il quadro è abbastanza desolante ovunque si guardi, tanto più con la minaccia incombente di un Iran nucleare.

Eppure è proprio in questo vortice che l’Ue vorrebbe esercitare pressioni su Israele, in qualità di parte “più forte”, affinché faccia un altro “gesto”, e poi un altro ancora, per un accordo di pace a due Stati con i palestinesi.

L’Ue dovrebbe essere meno ossessionata dalle concessioni ai confinanti dello Stato di Israele e dedicare maggiore attenzione a ciò che verrà a significare la sicurezza per Israele in un contesto post-accordo. Mai, 

qualsiasi sia il governo israeliano in carica, in nessun caso potrà subappaltare la propria sicurezza nazionale all’Ue, ma questo non significa che non vi sia alcun ruolo per l’Europa. Implicherebbe però fare meno chiacchiere o promesse solenne in riguardo alla sicurezza di Israele perché potrebbero suonare come vuote alle orecchie israeliane.

Dopo tutto, i risultati ottenuti dall’Europa in questo campo sono discutibili.

A dire il vero, alcuni Paesi sono stati di grande aiuto nei momenti chiave, ma non sempre e non tutti i paesi. La Francia è stata fondamentale per la difesa nazionale di Israele fino al 1967, quando Parigi impose un embargo paralizzante sulle armi in un momento cruciale per la vita di Israele. Quando gli Stati Uniti hanno deciso di fornire attrezzature di vitale importanza per Israele durante la lunga guerra di Yom Kippur del 1973, nessun Paese europeo concesse agli aerei da trasporto americani il permesso di atterrare e di fare rifornimento, fino a quando gli Stati Uniti non riuscirono a utilizzare una delle isole Azzorre.

Nel 1991, quando i missili Scud di Saddam Hussein cadevano su Israele, solo due Paesi europei hanno apertamente offerto il loro aiuto: Germania e Paesi Bassi. L’esperienza degli osservatori dell’Unione Europea al valico di Rafah a Gaza non è stata incoraggiante, anche se è stata fatta con le migliori intenzioni. E la partecipazione delle forze europee in Unifil in Libano è ammirevole, ma non ha portato ad alcun risultato di contenimento di Hezbollah, che oggi vanta un arsenale composto di missili e di droni in grado di colpire tutto il territorio di Israele.

Per far rispettare il suo peso nel sollecitare il processo di pace, l’Europa ha bisogno di riuscire meglio a convincere Israele - la parte che assumerà il maggior numero di rischi concreti in caso di un accordo - che capisce veramente i veri pericoli.

L’Europa deve anche considerare che, se il popolo ebraico a volte può sembrare scettico riguardo alle promesse, il motivo di tale scetticismo potrebbe essere che la storia getta una lunga ombra e che i ricordi delle conseguenze dei precedenti abbandoni sono ancora freschi.

E, cosa più importante, l’Ue dovrebbe avvalersi della sua straordinaria esperienza nel porre fine alla prospettiva di una guerra tra gli Stati membri. Nonostante le evidenti differenze tra l’Europa e il Medio Oriente, alcune misure possono essere adottate dall’Unione europea per contribuire a creare un nuovo contesto di sicurezza puntando, tra l’altro, sullo sviluppo integrato. Se l’Europa vuole contribuire ad avvicinare israeliani e palestinesi al “giorno dell’accordo” potrà accelerare il processo solo pensando seriamente a quale scenario ci sarà “il giorno dopo”.

 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:36