La prossima guerra sarà contro Al Qaeda
Il fronte di Al Qaeda si è trasferito a Sud, nel Continente Nero. Per la Somalia e il Sahara occidentale non è una novità. Ma dalla primavera scorsa si sta aggiungendo un tassello in più: il Nord del Mali.
Al Qaeda ha approfittato della secessione dell’Azawad, a maggioranza tuareg, che si è separato dal Mali. L’innesco per l’indipendentismo dell’Azawad fu il golpe militare maliano. Il problema è subentrato subito dopo: la regione tuareg è diventata una solida base per Al Qaeda. La distruzione del portale della Moschea di Timbuktu (patrimonio mondiale dell’umanità, per l’Unesco), il 2 luglio scorso, fu un episodio mostruoso, paragonabile all’abbattimento delle statue dei Buddha in Afghanistan (da parte dei Talebani) nel 2001. Oltre alla gravità del danno inflitto a un capolavoro dell’arte islamica del XV Secolo, è ancor più pesante il significato politico di quel gesto: proprio come nell’Afghanistan talebano, una sola interpretazione del Corano, fondamentalista e sunnita, deve essere imposta su tutti i musulmani. Sui sufi, nel caso del Mali settentrionale. Proprio come nell’Afghanistan talebano, la rivoluzione islamica non è solo locale, ma universale. E per questo, il Mali settentrionale sta diventando un epicentro del terrorismo, pericoloso per tutta l’Africa.
L’opinione pubblica del Mali è assolutamente favorevole ad una “liberazione” (leggasi: invasione) del Nord. E l’organizzazione degli Stati africani occidentali (Ecowas) sta iniziando realmente a studiare un intervento armato. Anche l’Europa ne verrebbe coinvolta. La Francia, ex potenza coloniale, è pronta a sostenere un’azione con proprie truppe. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha dato all’Ecowas 45 giorni di tempo per presentare un piano completo. L’Unione Africana preme per far presto. E a Bamako, alla fine della settimana scorsa, ha riunito i vertici militari dei Paesi interessati per studiare le prossime mosse. Sempre l’Unione Africana, ieri, ha sospeso le sue sanzioni: le aveva imposte al Mali, quando i militari avevano preso il potere, ma ora la giunta è il minore dei problemi. Anzi: sarà un alleato nel prossimo conflitto.
Un’eventuale guerra non aprirebbe un nuovo fronte per gli Stati Uniti, sempre meno inclini ad azioni fuori-area, soprattutto in un periodo elettorale. Riguarderebbe, piuttosto, la Francia di François Hollande. È un bel dilemma per il presidente socialista, che ha sempre voluto presentarsi come l’opposto di Nicolas Sarkozy. Se il suo predecessore gollista era passibile dell’accusa di “neocolonialista” per i suoi interventi in Costa d’Avorio e in Libia (due conflitti nel solo 2011), Hollande vuole lasciare più spazio decisionale e operativo agli alleati africani. È possibile, dunque, che assisteremo ad una guerra tutta interna al Continente Nero, con la sola assistenza francese. Ma gli eserciti locali basteranno? Al Qaeda si sta preparando ad una resistenza ad oltranza, facendo affluire volontari anche dal Sudan e dal resto del Sahara occidentale. La Francia potrebbe trovarsi costretta ad un intervento molto più massiccio e “neocoloniale” e molto meno politically correct di quanto voglia Hollande.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:58