Cavalli&baionette: dopo il dibattito

Resterà poco di questo terzo dibattito televisivo fra Barack Obama e Mitt Romney, alla Lynn University di Boca Raton (Florida), il meno seguito dal pubblico. Resterà la battuta di Obama, ormai una moda su Twitter, sull’idea che investire molto nella Marina, per avere più navi, sia ormai un inutile spreco, perché le battaglie moderne non si combattono con tante navi e dunque sarebbe come spendere “su cavalli e baionette”. Cavalli&baionette è, appunto, diventato già un tormentone sul Web. Ma rivela una certa ignoranza, dal parte del comandante in capo delle forze armate degli Stati Uniti, sugli attuali rapporti di forza. Con i tagli impostati da Obama, le forze armate degli Usa potrebbero non essere più in grado di affrontare due conflitti simultaneamente, come prescritto dalla dottrina militare americana.

Resterà solo il tormentone “Cavalli&baionette” di questo dibattito e pochissimo altro. Perché, in sostanza, i due candidati esprimevano gli stessi concetti. Mitt Romney “ha fatto catenaccio per 90 minuti”, come direbbe un patito di calcio. E la situazione era proprio quella di una squadra (quella repubblicana) forte di un grande vantaggio acquisito nella prima partita (il dibattito di Denver) e intenta a conservare la sua posizione. Se solo questo era l’obiettivo, possiamo già dire che Romney lo abbia raggiunto. Ha mostrato al pubblico americano di conoscere, anche in dettaglio, tutte le principali questioni di politica internazionale.

Ha saputo mantenere un atteggiamento bi-partisan. I fans conservatori sono delusi dal mancato, ulteriore, affondo sull’ambasciatore ucciso in Libia. Che, detto con le dovute maniere, avrebbe potuto mandare al tappeto il presidente. Si è però diffusa la vulgata che contestare un errore mortale al comandante in capo sia “poco presidenziale” e Romney si è adeguato. Idem dicasi per lo scandalo Fast&Furious: neanche una parola sulle armi regalate, per errore, ai narcos. E nessun attacco neppure sull’affare Wikileaks, la più grande fuga di notizie nella storia dei servizi segreti. Romney ha preferito che fosse Obama a giocare il ruolo dello sfidante, ricoprendo lui il ruolo del presidente.

A livello politico, possiamo trarre una sola conclusione: chiunque vinca non cambierà la strategia americana. A parte le spese militari, che, per Romney, devono aumentare (mentre, per Obama, sono solo sprechi per pagare Cavalli&baionette) e l’atteggiamento “più hard power” per Romney e “più soft power” per Obama, abbiamo già la certezza che i dossier internazionali saranno approcciati nello stesso modo con cui li ha affrontati Obama in questi quattro anni e George W. Bush negli ultimi due della sua amministrazione: mantenere un equilibrio fra potenze relativamente favorevole agli Usa. Romney non ha proposto alcuna visione del mondo alternativa. Anche perché avrebbe avuto solo due scelte radicali, entrambe rischiose. Avrebbe potuto ripiegare sull’isolazionismo (come proponeva Ron Paul), esponendosi però al fuoco di fila del suo stesso elettorato. Oppure rilanciare la battaglia per l’esportazione della democrazia (come il George W. Bush dell’11 settembre) e subire la contestazione di un’opinione pubblica stanca di guerre all’estero. Ha scelto di non uscire dalle righe, “fare catenaccio” e non contraddire il comandante in capo. Solo nei prossimi giorni, con i primi sondaggi nazionali e locali post-dibattito, vedremo se questa tattica abbia pagato.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:19