Gilad Shalit, cittadino di Roma

Il 18 ottobre è stato celebrato il primo anno della liberazione di un cittadino onorario di Roma: Gilad Shalit. La sua storia è il simbolo del conflitto fra Israele e Gaza. Mentre prestava servizio militare, fu ferito e rapito il 25 giugno 2006 a Kerem Shalom, in territorio israeliano, da miliziani fedeli al partito islamico palestinese Hamas. Fu rilasciato solo il 18 ottobre 2011, dopo cinque anni e mezzo di prigionia. Barattato, dopo un’infinita ed estenuante trattativa segreta, con 1027 prigionieri palestinesi. Molti dei quali erano in carcere con l’accusa di terrorismo e omicidio di massa.

Quella di Gilad Shalit è, tuttora, una delle più lunghe detenzioni illegali della storia contemporanea. La Croce Rossa Internazionale non ebbe mai modo di recar visita al prigioniero. Non fu mai rilasciata alcuna informazione certa sul suo stato di salute, né sulla sua esistenza in vita, al di là di un messaggio audio nel 2007. Solo per quella volta, il padre, Noam Shalit, riuscì a fargli avere un nuovo paio di occhiali, avendo saputo che i precedenti si erano rotti durante il rapimento. Per due anni: ancora buio. Solo nel 2009 spuntò un nuovo video. Poi più niente per altri due anni. L’umanitaria Freedom Flotilla non accettò di giocare il ruolo di mediatore sul prigioniero, in cambio della consegna di aiuti a Gaza. Almeno negli ultimi tempi di cattività, in molti pensavano che il caporale prigioniero fosse ormai morto. Le storie dei precedenti non facevano ben sperare. Si diceva che potesse fare la stessa fine di Eldad Regev e Ehud Goldwasser, rapiti in quegli stessi giorni da Hezbollah (il 12 luglio 2006) e restituiti a Israele nelle loro bare, ma sempre in cambio di 199 prigionieri palestinesi e libanesi, fra cui il terrorista e infanticida Samir Kuntar. O che potesse sparire per decenni, come il pilota Ron Arad, catturato in Libano nel 1986, dopo esser precipitato con il suo aereo. Di lui, tuttora, non si sa più nulla. E le voci che circolano, se confermate, rivelerebbero una realtà peggiore della morte: potrebbe tuttora essere prigioniero in Iran, reso paraplegico da una sadica operazione alla spina dorsale, come raccontarono, nel 2005, tre iraniani transfughi. Un solo video, diffuso nel 2006 (venti anni dopo la cattura) da Hezbollah, rivelerebbe la sua esistenza in vita. Almeno fino a 6 anni fa. Lo ritraeva come un uomo sofferente, con la barba lunga, pressoché irriconoscibile rispetto al ragazzo sorridente e atletico delle sue ultime foto da uomo libero. È ancora incerto se quel video ritraesse proprio lui, o un uomo che gli somigliava e parlava correttamente ebraico.

Da sei anni non se ne sa più nulla. Una speranza per una liberazione è ormai minima. La storia di Gilad Shalit ha un raro lieto fine. È vero: non ci fu alcuna liberazione eroica, ma uno scambio di prigionieri. E l’Israeli Defense Force, con la sua lunga tradizione di raid rocamboleschi (basti pensare alla liberazione di 100 ostaggi a Entebbe, in Uganda, nel 1976), se lo rimprovera ancora. Un primo tentativo, l’Operazione “Piogge Estive”, venne compiuto il 28 giugno, due giorni dopo il rapimento. In un’azione unica nel suo genere, migliaia di uomini vennero mobilitati per la liberazione di un singolo compagno d’armi. Allora, però, l’intelligence israeliana non dimostrò di avere informazioni certe su dove fosse detenuto. La sorte non venne tentata una seconda volta, per paura che gli aguzzini potessero ammazzare il loro ostaggio. Anche qui c’era un precedente drammatico, da cui trarre lezione: nel 1994, un altro militare israeliano, Nachson Wachsman, venne ucciso durante il blitz dell’Idf, sei giorni dopo il suo rapimento da parte di terroristi palestinesi. Dopo anni di trattativa, l’annuncio della liberazione del caporale Shalit arrivò solo il 12 ottobre 2011. Fu rilasciato il 18 ottobre, grazie alla mediazione dell’Egitto. Da quando Gilad è tornato in libertà, ha ottenuto una promozione di grado militare, la cittadinanza onoraria di Parigi e quella, appunto, di Roma, entrambe conferitegli simbolicamente quando era ancora nelle mani dei rapitori di Hamas. Si è sempre tenuto lontano dai riflettori, benché stia cercando di ritrovare gli anni perduti con la sua passione per lo sport. Scrive commenti sportivi sul quotidiano Yediot Aharonot e il 7 ottobre scorso è andato a Barcellona ad assistere alla partita fra il “Barça” e il Real Madrid. I suoi cinque anni e mezzo di prigionia sono ancora un enorme buco nero. Solo la scorsa settimana, l’ex caporale (ora sergente) ha accettato di parlarne con una televisione israeliana, il Canale 10. Come ha fatto a sopravvivere, mentalmente e fisicamente, a 1942 giorni di prigionia? Shalit dichiara di aver scritto e giocato. Scritto liste che gli ricordassero il mondo esterno: liste di giocatori, di squadre, di persone che ricordava. Spesso doveva nascondere quel che segnava, perché gli uomini di Hamas temevano che stesse raccogliendo informazioni di intelligence. Chiuso nel suo appartamento, non poteva avere contatti col mondo di fuori, se non attraverso i rumori delle vie di Gaza.

Spesso abbastanza forti da svegliarlo nel cuore della notte. E poi i giochi: «Durante il giorno, volevo fare tutti i tipi di giochi. Scacchi, domino e qualsiasi cosa potessi fare da solo, strani giochi. Facevo una palla con tutto quel che capitava, calzini, una maglietta e tentavo di far canestro nel cestino della spazzatura. Potevo inventarmi qualsiasi cosa». Non emerge un quadro agghiacciante. Pensiamo, però, a quali siano le esperienze di vita di un ragazzo sano e libero, dai 20 ai 25 anni. A un periodo di studi, viaggi, amici, amori e l’inizio di una carriera lavorativa. Tutto questo è stato negato a Gilad Shalit. Quel che è ancora peggiore: i suoi rapitori non mostrano un minimo di pentimento. Tuttora sfruttano Gilad per la loro propaganda di odio contro Israele. Hamas ha saputo che Shalit sarebbe andato alla partita del Barcellona e ha vietato ai cittadini di Gaza di assistere all’evento sportivo. Ha saputo che Shalit avrebbe rilasciato un’intervista e ha risposto pubblicando un propri video di propaganda sul rapimento e la detenzione del caporale israeliano. Per i rapitori

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:06