Niente donne negli atenei iraniani

In Iran, il nuovo anno accademico si è aperto tra le polemiche. Da quest’anno le donne non possono più accedere liberamente ai corsi universitari. Almeno, a molti di essi. Sono 36, per il momento, le facoltà che hanno deciso di accettare i recenti provvedimenti ministeriali e 77 i corsi universitari con accesso bloccato per le studentesse. Pertanto, buona parte dell’offerta formativa universitaria sarà riservata ai colleghi maschi. Nell’elenco dei programmi universitari “proibiti” risultano materie come ingegneria, fisica nucleare, informatica e perfino letteratura e traduzione inglese. Il motivo di tale esclusione? Secondo fonti ufficiali, la decisione sarebbe stata presa per limitare gli effetti della disoccupazione crescente, soprattutto tra le nuove generazioni. Ma non tutti condividono questa tesi. In un articolo apparso lo scorso agosto sul quotidiano web iraniano, Roozonline, ci si domandava se queste misure in realtà mirassero ad altro, celando il tentativo del governo di Teheran di attuare una vera e propria discriminazione di genere.

La denuncia è arrivata direttamente da Shirin Ebadi, avvocato e premio Nobel per la pace nel 2003, che in una lettera inviata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, e all’Alto Commissario per i diritti umani Navi Pillay, ha chiesto espressamente di aprire un’inchiesta sul caso. «Il governo iraniano – ha scritto l’attivista e avvocato – sta usando varie iniziative per limitare l’accesso delle donne all’istruzione, per impedire loro di essere attivi nella società e rispedirle a casa». Ma la vicenda è a dir poco complessa e controversa. Se da un lato si è gridato alla discriminazione di genere, dall’altra le autorità iraniane hanno minimizzato la vicenda, respingendo ogni accusa. «La decisione – ha spiegato il ministro delle scienze iraniano, Kamran Daneshjoo – è stata presa sulla base di una serie di considerazioni empiriche, e il tutto dipende dall’esito delle prove annuali di ammissione alle facoltà e dalle singole università, nel caso in cui decidano di consentire l’ammissione ai soli colleghi maschi in determinate discipline». Le dichiarazioni del ministro hanno provocato, come era prevedibile, una scia di polemiche che rischiano di minare la già offuscata immagine di Ahmadinejad e dei suoi ministri. Già nel 2008, si era parlato di istituire le “quote azzurre” all’interno degli atenei iraniani, al fine di pareggiare il numero degli iscritti maschi con quello femminile di gran lunga superiore. Infatti, a dispetto di quanto si crede, l’Iran è uno dei Paesi dell’area mediorientale con il tasso di alfabetizzazione più elevato. Non solo. È anche uno dei primi Paesi ad aver permesso alle donne di studiare all’università. Il primo passo in questa direzione è stato fatto con la cosiddetta rivoluzione bianca promossa sotto lo Shah Reza Pahalavi, volta a modernizzare l’Iran.

Nel pacchetto di riforme era incluso anche il processo di alfabetizzazione. Un iter continuato, nonostante gli stravolgimenti politici, anche con la Rivoluzione Islamica del 1979. Ingenti gli sforzi per incoraggiare più ragazze a iscriversi nel campo dell’istruzione superiore. Sforzi ed energie che oggi hanno dato i loro frutti. Le candidature femminili agli esami di ammissione universitaria aumentano anno per anno. Nel 2011, il corpo studentesco universitario era composto per il 60% da donne. Nell’anno accademico in corso, circa 1 milione e 660mila candidati hanno sostenuto le prove di ammissione svoltesi dal 28 al 30 giugno. E anche in questo caso, le stime non hanno tradito le aspettative per quanto riguarda le iscrizioni femminili. Ampia è stata difatti la partecipazione delle donne nei quattro campi di studi, suddivisi in scienze empiriche, scienze umane, arti e lingue straniere. La motivazione che spinge sempre più donne ad iscriversi ad un’università pubblica (in Iran sono tre le più importanti, Teheran, Shiraz e Isfahan) è riconducibile per certi versi alla possibilità di vivere una vita più indipendente, di avere una carriera e anche per sfuggire alla pressione familiare di rimanere a casa e sposarsi. Perciò, non è poi così impensabile incontrare donne ingegneri, fisici nucleari, scienziate, informatiche o medici.

Tuttavia, non mancano le limitazioni. Se nei mesi successivi alla Rivoluzione Islamica, nelle università giovani donne e uomini potevano ancora mescolarsi gli uni con gli altri, negli ultimi trent’anni sono stati attuati innumerevoli cambiamenti e stravolgimenti. Sono state introdotte misure rigide e restrittive entro le università, come gli ingressi, le aule e persino le mense separate. Negli ultimi quattro anni, si è assistito ad un inasprimento di queste misure, riconducibile per certi versi alle conseguenze provocate dai disordini post elettorali del 2009. Non è passato in sordina il ruolo chiave svolto dalle donne nel corso delle proteste, scese in piazza per sostenere i loro coetanei. E pare che ciò abbia messo a dura prova i nervi già tesi dei leader iraniani conservatori. In un discorso del 2009, la Guida Suprema, l’Ayatollah Alì Khamenei ha invocato “l’islamizzazione” delle università, criticando materie come la sociologia considerata a suo dire troppo “occidentale” e poco adatta per i curriculum islamici. Da allora, sono stati avviati molti cambiamenti, con il taglio di molti corsi e il licenziamento di parte del personale accademico, sostituito con fedeli conservatori vicini al regime. Questa decisione, l’ultima in ordine di tempo, non fa altro che gettare ulteriore discredito sull’uscente presidente Ahmadinejad e la sua cerchia ristretta di fedelissimi. Dopo le dichiarazioni al vetriolo del Direttore Generale per la diffusione dell’educazione, che ha velatamente invitato le donne a ripiegare su altri settori, abbandonando di fatto ogni tipo di velleità a diventare ingegneri meccanici o fisici nucleari, nei giorni successivi il funzionario è stato costretto a cambiare rotta, tentando di limitare i danni. Troppo tardi.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:50