La giornalista segna il gol per Obama

Come fai a vincere una partita, se l’arbitro stesso, non solo ti annulla i gol, ma alla fine si mette a giocare con l’altra squadra? La metafora calcistica, che ogni italiano capisce, fa toccare con mano come si sia svolto il secondo dibattito presidenziale fra Barack Obama e Mitt Romney alla Hosftra University (stato di New York). La moderatrice Candy Crowley, della Cnn, si è impropriamente rivolta al candidato repubblicano con un anonimo “Mr. Romney” (il regolamento prescrive di chiamare “governatore” un ex governatore), si è messa a riformulare le domande del pubblico e... ha dato ragione a Barack Obama, su una risposta fra le più decisive.

Il sospetto che la giornalista della Cnn fosse di parte c’era sin da subito. Durante la campagna elettorale di Obama del 2008 era andata ad assistere alla sua inaugurazione, non perché in servizio, ma da privata cittadina. Quando il presidente venne accusato di aver fatto trapelare segreti di Stato (la “kill list” dei terroristi), lei lo giustificò così: «Di solito si chiude un occhio su un presidente che fa filtrare materiale confidenziale». La “moderatrice”, nei giorni precedenti il dibattito, già aveva fatto sapere che avrebbe violato le regole di ingaggio: ha anticipato di voler intervenire con sue domande ai candidati. Nel regolamento non c’era scritto che il moderatore non potesse svolgere anche il ruolo del fact-checker (accertatore dei fatti esposti durante il dibattito). Lei ha approfittato di questa lacuna… per fare del puro fact-checking a favore di Obama.

È andata così: mentre Romney rimproverava a Obama l’incapacità di riconoscere un atto terroristico dietro all’uccisione dell’ambasciatore Christopher Stevens a Bengasi, Obama giurava di aver parlato subito di terrorismo. La Crowley è intervenuta a suo favore, confermando che Obama dicesse il vero. Ma… è vero? Non proprio, stando alle parole pronunciate, allora, da Obama. Il 12 settembre, 24 ore dopo l’uccisione dell’ambasciatore a Bengasi, il presidente ha pronunciato un discorso in cui, prima di tutto, chiedeva scusa per l’oltraggio a Maometto (il pretesto per l’attacco): «Sin dalla nostra fondazione, gli Stati Uniti sono una nazione che rispetta tutte le fedi. Noi respingiamo ogni denigrazione al credo religioso altrui». Poi ricordava gli attacchi dell’11 settembre. E infine ha pronunciava la generica frase: «Nessun atto terroristico minerà la risolutezza di questa grande nazione». Riferito all’11 settembre, probabilmente. È ben diverso dal riconoscere che l’attacco di Bengasi fosse un atto terroristico pianificato in anticipo. Per ben due settimane l’amministrazione, ha chiaramente parlato dei fatti di Bengasi come di “evento spontaneo”. La Crowley, però, ricorda diversamente.

Il caso Crowley non va sottovalutato. Non si tratta solo di gridare “arbitro venduto!” quando il tuo candidato perde. Si deve piuttosto aprire una seria riflessione sul ruolo politico dei media. A parte il moderatore del primo dibattito, Jim Lehrer, sia Martha Raddatz che Candy Crowley hanno giocato un “ruolo attivo”. La maggioranza degli altri media, le premiano proprio per i loro interventi a gamba tesa. È un nuovo modo di fare giornalismo? A questo punto no: ci troviamo di fronte a un gruppo politico, che fa campagna elettorale usando i media.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:27