Muore l'ultimo Rino moderato

Il senatore statunitense Arlen Specter, repubblicano, 82 anni, è morto in seguito ad una lunga lotta contro un linfoma. Su questa sua ultima, drammatica, esperienza, aveva scritto anche un libro, “Never Give In” (mai arrendersi), perché gli altri senatori e deputati che lottano contro il cancro «non si sentano soli».

Arlen Specter, prima di lasciare questo mondo, da tre anni aveva abbandonato il suo Partito Repubblicano dopo una militanza di 44 anni. Non è stato il primo, né l’ultimo. A fine febbraio scorso era arrivato l’annuncio della senatrice Olympia Snowe: non si sarebbe candidata a novembre. In entrambi i casi la motivazione era sempre la stessa: il Partito sta diventando troppo fazioso. Troppo poco incline a compromessi e, ideologicamente parlando, troppo “conservatore”. Alle loro storie si aggiungano anche quelle dei “ribelli”, perché non votati dalla base. Dede Scozzafava, nelle elezioni straordinarie locali di New York del 2009, sospese la sua campagna elettorale e appoggiò il candidato democratico Bill Owens. O Lisa Murkowski, in Alaska: bocciata alle primarie trovò il successo da indipendente nelle elezioni del 2010.

Qual è il problema? Si sta estinguendo, da almeno quattro anni, una razza politica chiamata spregiativamente “Rino” (Repubblicano solo di nome) dai conservatori e “Repubblicani Moderati” dai liberal. Erano tutte figure trasversali, a volte (come nel caso di Arlen Specter) provenienti dal Partito Democratico (lo abbandonò nel 1965 per passare a destra), ma nella maggior parte dei casi, si trattava di politici nati e cresciuti all’ombra dell’“elefantino”, ma più inclini a ragionare in termini progressisti. Repubblicano, contrariamente a quel che si pensa in Italia, non è affatto sinonimo di “conservatore”. Oggi, sul conservatorismo fiscale, i gay, l’aborto e l’ambiente, la base del Grand Old Party non intende scendere a compromessi.

Sarebbe un errore, però, credere che il fenomeno della radicalizzazione sia solo una questione della destra. La sinistra ha iniziato molto prima, almeno dal 2000, da quando Al Gore perse contro George W. Bush in seguito ad un riconteggio dei voti in Florida. Joseph Lieberman abbandonò il Partito dell’asinello dopo aver capito che le sue posizioni di politica estera, a favore dell’esportazione della democrazia, fossero ormai incompatibili con una formazione politica sempre più chiusa nei suoi dogmi pacifisti. Artur Davis è l’ultimo caso: è passato dalla parte dei Repubblicani perché i Democratici erano “troppo di sinistra”, come ha dichiarato alla Convention di Tampa, lo scorso agosto. I numeri dimostrano che i loro non sono casi rari. I “Blue Dogs”, i Democratici più conservatori in materia fiscale, erano 54 nel precedente Congresso, oggi sono solo 26, meno della metà. Dall’altra parte, il Progressive Caucus (il più massimalista) è attualmente forte di 76 membri al Congresso ed è in costante crescita: 20 in più rispetto al 2005.

Non è il partito Repubblicano ad essere “cattivo” e meno incline al dialogo: è l’America che si sta polarizzando, a destra e a sinistra. Quella di destra è una reazione alla radicalizzazione della sinistra. Il prossimo presidente, chiunque vinca, avrà a che fare con un Congresso e con un Paese molto più diviso che in passato.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:37