Bengasi, Obama sapeva e non reagì

L’attacco al consolato statunitense di Bengasi è stato un atto di terrorismo. L’amministrazione Obama lo sapeva, ha sottovalutato i segnali di allarmi e a cose fatte (e ambasciatore ucciso) ha deciso di scaricare tutte le colpe su un video amatoriale “blasfemo”. Questa è la ricostruzione dei tragici eventi dell’11 settembre scorso, in base alle testimonianze raccolte dalla Commissione della Camera per la Supervisione del Governo e da membri della Commissione di Intelligence, sempre della Camera.

Il loro è un punto di vista “di parte”, dato che la Camera (e le sue commissioni) sono a guida repubblicana. Ma l’impianto accusatorio è solido e la ricostruzione assolutamente plausibile, soprattutto considerando la piega che gli eventi hanno preso nei giorni successivi, caratterizzati da una sostanziale non-reazione americana. Nei giorni precedenti l’attacco era già abbastanza chiaro che qualcosa stesse bollendo in pentola. Il 4 era arrivato un avvertimento dall’Egitto ed anche in Libia c’erano già tutti i sintomi di un possibile attacco. La data (11 settembre) è, già di per sé, una ricorrenza molto pericolosa nei Paesi in cui il fondamentalismo islamico è molto presente, armato e organizzato.

Funzionari del consolato, intervistati dalla Commissione, hanno rivelato di aver mandato a Washington rapporti allarmanti, chiedendo rinforzi per la sicurezza della sede diplomatica. L’assalto dell’11 settembre non è arrivato dal nulla, ma è stato solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi subiti da funzionari e diplomatici occidentali. Secondo i deputati repubblicani Darrell Issa e Jason Chaffetz, i funzionari erano così infuriati con l’amministrazione da voler parlare a tutti i costi con i membri della Commissione. In parole povere: i loro allarmi sono stati ignorati. Arrivati al giorno dell’attacco, l’11 settembre scorso, la Casa Bianca è stata prontamente informata di quanto stava avvenendo a Bengasi.

Secondo quanto riporta Bret Stephens, sul Wall Street Journal, la decisione di non intervenire è stata una scelta deliberata: nessuna azione armata (a protezione del personale diplomatico statunitense), senza l’esplicita autorizzazione della Libia. Il Dipartimento di Stato si è limitato a chiedere alla Libia di provvedere alla sicurezza del consolato di Bengasi. Ed anche quando la situazione è degenerata, un intervento diretto non è stato preso in considerazione. Nei giorni successivi all’attacco, la Casa Bianca ha ricevuto una serie di rapporti di intelligence su chi vi fosse dietro l’organizzazione della sommossa: gruppi terroristici organizzati, quali Ansar al Sharia e Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Eppure, fino a venerdì scorso, la tesi ufficiale era quella di una “sommossa spontanea”, scoppiata a causa di un film “blasfemo”, neppure uscito al cinema.

Solo dalla fine della settimana scorsa, James Clapper, direttore dell’Intelligence Nazionale, ammette che le informazioni raccolte si siano “evolute”, permettendo di scorgere un disegno terrorista dietro all’omicidio dell’ambasciatore Christopher Stevens e di tre membri del suo staff. Ma tanto, ormai, la Libia non è più nelle prime pagine, gli americani sono troppo preoccupati dai problemi economici per pensare alla politica estera e... Obama non deve essere ulteriormente disturbato a un mese dalle elezioni.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:34