Nethanyahu parla alle Nazioni Unite

Benjamin Netanyahu, premier israeliano, si è recato a New York ieri, per la sessione inaugurale della 67ma Assemblea Generale dell’Onu, con “un paio” di conti in sospeso. Il rapporto dell’Aiea dimostra che l’Iran sia ad un passo dalla bomba atomica. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, nel suo discorso al Palazzo di Vetro, aveva appena finito di pronunciare un discorso tutto incentrato sull’antisionismo. In un’intervista rilasciata prima di prendere la parola, addirittura, era giunto a definire Israele «un dettaglio nella storia del mondo», un’entità fondata sull’esproprio di territori ai palestinesi, che «sopravvive da poco più di 60 anni», contrapposto ad un Iran che esiste da 5000 anni.

In quanto dettaglio, Israele «andrà eliminato». Mettendo assieme le due cose, bomba atomica e volontà di eliminare lo Stato ebraico, a Netanyahu appare più che chiaro quale sia l’intento del regime di Teheran nei confronti del suo popolo. A ciò si aggiungano alcune altre questioni, tutt’altro che irrilevanti: Ahmadinejad ha tenuto il suo discorso incendiario alle Nazioni Unite proprio nel giorno dello Yom Kippur, il più sacro nel calendario ebraico; gli Usa, per solidarietà ad Israele, hanno abbandonato l’aula durante il discorso del presidente iraniano, ma il sostegno allo Stato ebraico finisce qui. Infatti, contrariamente agli auspici di Netanyahu, Barack Obama ha dichiarato (quasi in fondo al suo discorso, dopo aver parlato di tutto il resto) che «abbiamo ancora il tempo» per un’azione diplomatica, nonostante abbia ribadito l’inaccettabilità di un Iran dotato di armi atomiche. Non era questo impegno vago quel che Israele si attendeva. Si aggiunga anche che il premier dello Stato ebraico aveva chiesto (visto il momento) un incontro urgente con il presidente statunitense.

Ma se l’è visto rifiutare. Obama ha comunicato con il suo alleato per mezzo di un comunicato ufficiale della Casa Bianca. Prima ancora di presentarsi al Palazzo di Vetro, il premier ha rilasciato un comunicato di condanna alle dichiarazioni di Ahmadinejad: «Nel giorno in cui preghiamo per essere inseriti nel Libro della Vita, è stato dato un palcoscenico a un regime dittatoriale che, ogni volta che gli è possibile, si batte per condannarci a morte». «La storia ha provato che quelli che hanno tentato di estrometterci dalle mappe hanno fallito, perché il popolo ebraico ha superato ogni ostacolo». Contrariamente a Obama, che ottimisticamente ritiene di avere ancora tempo, Netanyahu insiste che esista “una linea rossa” che l’Iran non deve passare. Se la passa è ovvio che l’unica soluzione non sarà più diplomatica, ma militare. Questo è il discorso. Non ci sono alternative. Più Israele si sentirà isolato, più il suo governo sarà spinto ad un’azione unilaterale? Da un punto di vista politico sarebbe comprensibile. Ma da un punto di vista militare, sappiamo tutti che lo Stato ebraico non ha mezzi sufficienti per fermare il programma nucleare di Teheran.

Dovrà ottenere la piena cooperazione delle forze armate statunitensi. Obama, finora, ha dimostrato di non parlare, ma agire: con i droni in Pakistan, Yemen e Somalia, con la sua “kill list” dei terroristi, con l’intervento (neppure riferito al Congresso) in Libia. La prossima volta toccherà all’Iran? O il silenzio della Casa Bianca indica un vero abbandono di Israele?

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:35