Ma l'Afghanistan è ancora in guerra

C’era una volta il “surge”, parola oscura (che significa letteralmente: ondata) in cui venivano riposte tante speranze per la guerra in Afghanistan. Il surge, deciso dall’amministrazione Obama alla fine di novembre 2009, consisteva nell’invio di 33mila truppe combattenti sul teatro di guerra afgano, per portare rinforzo ai contingenti già inquadrati nell’Isaf, la missione a guida Nato. Il “surge” è finito ufficialmente ieri, con il ritorno a casa degli ultimi dei 33mila uomini inviati nell’Asia del Sud. I risultati? Deludenti, a dir poco.

I numeri parlano da soli. Se è vero che i Talebani e i loro alleati locali hanno subito sempre più perdite (1630 morti nel 2009, 2037 nel 2010 e 2332 nel 2011), essi sono riusciti a seminare molta più morte fra i civili afgani. In totale, sono stati uccisi 1500 civili afgani nel 2009, saliti a circa 2300 nel 2010 e al record di oltre 3000 morti nel 2011, secondo le stime della missione Unama (Onu). Solo quest’anno si registra un leggero decremento, del 15%, rispetto alla tendenza precedente. Ma il 2012 non è affatto concluso. I Talebani hanno cambiato tattica. Si infiltrano nell’esercito regolare afgano e colpiscono di sorpresa i militari alleati. Ottenendo anche l’effetto di seminare zizzania fra il governo di Kabul e Isaf. Gli incidenti “green on blue” (così viene chiamato il fuoco amico fra alleati) sono 51 dall’inizio del 2012. Fino al 2009 erano un evento raro: 2 all’anno, in media.

Il “surge” doveva servire a ridurre la violenza dei Talebani contro i civili e permettere al governo di Kabul di affermare la sua leadership. Hamid Karzai, oggi, non gode di grandi simpatie fra gli afgani, specie dopo lo scandalo delle elezioni truccate del 2010. In compenso, i Talebani si sentono sufficientemente forti da dettare loro condizioni (fra cui la partecipazione al nuovo governo) per un cessate-il-fuoco che consenta il ritiro pacifico dei contingenti internazionali. La missione non è compiuta, evidentemente. Eppure il “surge” è finito. E la data del ritiro è sempre quella decisa tre anni fa: il 2014 e non oltre. Il “surge” aveva sollevato grandi entusiasmi, anche fra i conservatori. Anche Frederick Kagan (American Enterprise Institute) si era speso in prima persona per sostenere Obama. Era un ottimismo realistico: lo stesso tipo di strategia, negli ultimi due anni dell’amministrazione Bush, era riuscito a riportare l’equilibrio (se non proprio l’ordine) in Iraq. In Afghanistan non ha funzionato altrettanto bene. E non solo perché è un teatro di guerra più difficilmente controllabile.

Ma anche perché l’amministrazione Obama non ci ha creduto veramente. Decidendo di avviare il “surge” dopo più di 6 mesi di dibattito. Mandando 33mila uomini, contro i 100mila consigliati dai militari. Fissando subito una data del ritiro, (come scoprire le proprie carte ...). E poi provocando malumori nei comandi militari: McChrystal, ex comandante delle forze Nato, è stato licenziato da Obama dopo un’intervista rilasciata a Rolling Stone. In cui esprimeva tutto il suo disappunto proprio sui tentennamenti del presidente. Prima di lui, era stato licenziato in tronco (e senza consultare gli alleati) anche il generale McKiernan. E, dopo di lui, David Petraeus (vincitore dell’Iraq) è durato meno di un anno. Almeno Bin Laden è stato ucciso. Gli americani possono anche andare in pace. Ma l’Afghanistan è ancora in guerra.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:54