La sfida islamica, il silenzio occidentale

La violenza fondamentalista di matrice religiosa, deflagrata a seguito della per altro sospetta “riscoperta” del film blasfemo con l’Islam del regista coopto-egiziano, non concede pause. Ci costringe a tenere lo sguardo fisso su una incontrollabile furia di matrice religiosa e di fatto impone all’opinione pubblica del mondo occidentale un dibattito di stampo medievale, in cui si è costretti a confrontarsi con categorie medievali. Giusto il tempo di riflettere sulla libertà di essere apostati. Che è una libertà dell’individuo.

Ecco la semplice, adamantina differenza tra il totalitarismo religioso che sta imperversando nelle neo democrazie teocratiche portate dalle primavere arabe e, con largo anticipo su ogni previsione, busserà alle nostre porte, e la democrazia occidentale. È una differenza sostanziale per cui da una parte al Festival del cinema di Venezia è stato proiettato un film in cui è presente una scena di masturbazione con un Crocefisso senza che nessuna autorità italiana, come è comprensibile, abbia ipotizzato alcuna forma di censura. Niente scandali, nessuna protesta: la democrazia reale setaccia il materiale che vi si genera ed esercita senza forzature la sua selezione collettiva ed individuale autoregolamentandosi, senza ricorrere, tranne casi estremi, a forme di coercizione.

Tanto che l’offesa ai simboli del cristianesimo viene spessissimo stigmatizzata anche dai più ferventi atei. Dall’altra, a poche ore dalla diffusione del filmato blasfemo contro Maometto e l’Islam, che tutta la comunità internazionale si è affrettata a considerare strabicamente come la reale causa delle violenze contro le Ambasciate americane, gli Imam Al-Azhar e Cheikh al-Tayyebb hanno chiesto alle Nazioni Unite una risoluzione internazionale che vieti qualunque attacco ai simboli della religione musulmana. E hanno avuto cura di cura di specificare che è «responsabilità dell’Onu proteggere la pace mondiale da tutte le minacce, affinché tali avvenimenti non si ripetano». Come dire che il mondo occidentale deve accettare l’autolimitazione dei suoi diritti altrimenti su di esso si abbatterà legittimamente la furia di una religione che si accanisce contro qualsiasi individuo osi rifugiarsi nel proprio diritto al dissenso. Perché per l’Islam l’apostasia, come scriveva già nel 2005, Carlo Panella nel suo libro Il complotto ebraico, oltre ad essere peccato è reato. Un reato per cui, ammoniva una delle massime autorità della teologia musulmana, Al Qaradhawi, «i musulmani hanno convenuto che la punizione da comminare sia la morte». La morte.

Ed è con questa folle, ma ben collaudata sequenza peccato-reato-condanna su cui si incardina un incontrollato impulso ad agitare le sciabole, che l’Islam soverchia le ragioni dell’individuo per preservare quelle della comunità, contando sulla follia collettiva di invasate milizie pronte a scagliare la loro violenza contro il nemico blasfemo. Anche, anzi proprio perché, questo nemico fino a poche ore prima era un alleato che ha armato i combattenti islamici per favorire una ventata di quella “primavera araba” rivelatasi soltanto un “antioccidentalismo” fideistico, un rigetto antico di esclusiva matrice religiosa e coranica che da sempre innerva la società musulmana. Così come lo è il rifiuto antisemita che affonda le sue radici negli appellativi di “porci e maiali” affibbiato da Maometto agli ebrei e che soltanto di conseguenza è diventato antisionismo. Le reazioni di corale condanna del filmato sacrilego da parte di Hillary Clinton, di Ban ki Muun che ha definito il film “odioso” e dello stesso nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non hanno fatto altro che conferire un tacito quanto esplicito riconoscimento di legittimità alla violenza assetata di vendetta seguita alla pubblicazione in rete del film. Eppure, dopo aver rivendicato la strage di Bengasi in cui è morto l’ambasciatore americano Chris Stevens, Al Qaeda nella penisola arabica (Aqap) non perso tempo lanciando un appello ai musulmani a continuare l’assedio alle rappresentanze diplomatiche Usa nel mondo arabo e ai “fedeli” che vivono in occidente a colpire gli interessi americani, ricchiamandolo al «loro dovere» perché «più in grado di creare danni».  

«La cacciata di ambasciate e consolati - sono le parole del comunicato intercettato dal sito di analisi antiterrorismo Site - porterà alla liberazione delle terre Arabe dall’egemonia americana e dall’arroganza». Perché «tutto il mondo deve sapere che non si può offendere il Profeta». Questo è l’obiettivo: impedire che l’apostasia si espanda, che il pericoloso virus della libertà individuale, in tutte le sue manifestazioni, si propaghi e attecchisca anche tra i fedeli tanto da diventare collettiva. C’è da chiedersi come mai neppure queste minacce rivolte proprio a noi abbiano impedito al professor Eugene Rogan, direttore del Middle East Centre a Oxford, dalle colonne del primo quotidiano italiano, di dare dignità accademica anche sollecitazioni degli imam fondamentalisti sull’opportunità di creare leggi apposite che condannino chi offende il Corano. Rogen si chiede perché non punire coloro che oltraggiano la religione islamica alla stessa stregua di come ad esempio in Germania viene punita l’apologia del nazismo, e di conseguenza la negazione dell’Olocausto. È accettabile, però, che nessuno abbia domandato all’illustre cattedratico come si possa porre sullo stesso piano in modo così superficiale o in così tale malafede la libertà di opinione (che, guarda caso nei confronti del Cristianesimo è sempre riconosciuta ovunque) con quello di fatti storici, tragici, reali, accertati, gravidi di morti orribili, di dolore infinito e irrisarcibile? Ed è concepibile che nessuna voce istituzionale abbia detto che autolimitare unilateralmente i nostri diritti acquisiti per paura delle reazioni significa aver già perso contro un mostro che ci deglutirà senza nemmeno masticarci?

Eccolo il mostro che chiede misure contro il diritto di esprimere un’opinione anche attraverso un film definito immediatamente «odioso» da Ban Ki-moon, che sta dando alle fiamme tutte le ambasciate americane in Medio Oriente e che ha costretto in una manciata di ore a potenziare l’attività di controllo anche in Italia e la vigilanza su tutto il territorio degli obiettivi della protesta anti Usa. 

Cosa sta fiorendo dopo il tramonto delle dittature arabe? Non soltanto, come sostiene Rogan, «la realtà di società profondamente impregnate dall’Islam e per le quali l’offesa dei valori religiosi è gravissima» ma una prepotente sfida alla modernità. Sfida che stiamo accettando senza reagire, proni alla prospettiva di sacrificare la nostra società che, con tutte le contraddizioni possibili, grazie alle conquiste di diritti e libertà, è incardinata sulla centralità della centralità dell’individuo.

È giusto piegarsi ad una tale assurdità logica e spirituale che concepisce una sorta di scala di legittimità e di punibilità dell’apostasia, una sorta differenza di trattamento per apostasie di diversa natura, per cui una, quella nei confronti del Cristianesimo, nel cui alveo mai nessuno ha previsto la galera per aver offeso il Papa o il Vaticano, è esercitabile e da sempre tollerata in quanto metabolizzata come libertà di opinione? E l’altra forma di apostasia, quella rivolta all’Islam, si ritiene sanzionabile con il dichiarato assenso delle più autorevoli voci occidentali pur di sperare che tale misure contribuiscano a disinnescare il domino di spietate uccisioni ed efferati attacchi incendiari, che nessun cristiano, se non pazzo, sentitosi offeso nella sua fede, potrebbe mai nemmeno ipotizzare? Piegarsi a queste condizioni significa accettare l’idea di una “persecuzione unilaterale” perché prevista soltanto per “Il” peccato/reato contro una fede che essendo presente nel mondo occidentale di fatto pretende di imporre i suoi precetti e le sue feroci punizioni facendo carta straccia delle leggi che tutelano la libertà d’espressione. Vogliamo proprio sentirci come il contadino del detto toscano che «punge chi l’unge, unge chi lo punge»? La verità è che arare i campi con la masochista via dell’adulazione, Fiamma Nierenstein giustamente si chiede: «Ma perché dobbiamo piacere tanto agli islamici?», significa lasciare che gli estremisti continuino a soffiare sull’odio religioso, significa che nell’antinomia tra imposizioni della comunità e scelte personali, le seconde verranno spazzate via e a quel punto non avrà più nessuna importanza il fatto che nessun film per quanto offensivo nei confronti di Cristo, spingerebbe i cristiani a uccidere gente per il mondo.

Ci è riuscito invece un film come The innocence of muslims, sulla tempistica del cui “scandalo” e sulla cui grottesca fattura gravano oltretutto perplessità tali da legittimare il dubbio che sia stato commissionato dagli stessi i Jihadisti. Per celebrare l’anniversario dell’11 settembre con una offensiva ad orologeria di odio antiamericano ed antioccidentale in tutto il mondo arabo. La “rinascita islamica” è pronta. E capace di  lanciare una sfida mortale e definitiva al mondo occidentale.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:12