Per una politica estera oggettivista

Dopo l’11mo anniversario dell’11 settembre, è giusto ritornare a riflettere sulla politica estera oggettivista. Ayn Rand sta rivivendo un momento di notorietà, anche a 30 anni dalla sua scomparsa. I suoi romanzi filosofici sono ancora best-seller negli Usa, il candidato vicepresidente repubblicano Paul Ryan è un suo fan (anche se non è un suo “seguace” come affermano in molti) e John Allison, dell’Ayn Rand Institute, si appresterebbe a diventare presidente del prestigioso think tank Cato Institute, faro del libertarismo americano. Nei prossimi anni, dunque, sentiremo parlare molto  dell’oggettivismo. Nel bene e nel male e sicuramente anche a sproposito. Se Ron Paul si è costruito una fama di “colomba”, la Rand aveva una solida reputazione di “falco”. Ma sulla sua visione di politica estera regna la confusione più totale. Nei suoi romanzi e libri di filosofia ha detto tantissimo sulla politica internazionale (ovviamente: è una branca fondamentale di ogni filosofia politica), ma non ha mai elaborato una sua dottrina completa. Ha detto apparentemente tutto e il contrario di tutto. E suoi allievi, di conseguenza, dicono cose che spaziano dal taglio alla spesa militare a discorsi da dottor Stranamore sulla necessità di distruggere il nemico (civili inclusi) con le armi atomiche, dai discorsi isolazionisti contro gli interventi umanitari all’appoggio alle politiche neocon di regime change. Quel che va fatto è mettere un po’ di ordine in questo caos. E dimostrare che non c’è incoerenza fra il marasma di interventi della Rand e dei suoi seguaci contemporanei, ma c’è un unico filo conduttore.

Visto che l’argomento è molto vasto, meglio sintetizzare con una “Faq”, domande e risposte più frequenti. 

La politica estera oggettivista ha princìpi? 
Decisamente sì. L’etica oggettivista parte dall’assunto che l’uomo abbia bisogno di princìpi morali quale sua guida per scoprire la realtà. Di conseguenza anche la politica estera oggettivista si basa su princìpi morali. In questo si differenzia radicalmente dalla visione “realista” della politica estera (come quella di Machiavelli, Metternich o Bismarck), quella secondo cui l’azione del governo non deve essere vincolata da princìpi, ma deve adattarsi alle circostanze. 

Chi è l’attore della politica estera? 
Lo Stato è il monopolista legittimo della violenza, secondo la filosofia politica oggettivista. Dunque l’attore della politica estera a cui si farà riferimento, d’ora in avanti, è lo Stato. 

C’è un principio fondamentale della politica estera che lo Stato deve seguire? 
Sì, uno soltanto. Difendere i propri cittadini. E’ l’unico compito realmente legittimo di uno Stato. Non si parla di “costruire un impero” o di “esportare la democrazia” (sono queste le critiche rivolte più frequentemente dai libertari agli oggettivisti), ma di una politica di forte difesa dei propri cittadini. 

La difesa dei cittadini e della loro incolumità richiede compromessi? 
No. Qualsiasi compromesso è incompatibile con la sicurezza. Non vale il discorso “ne sacrifico alcuni per il bene della maggioranza”, perché tutti godono dello stesso diritto ad essere protetti. Uno Stato che sacrifica alcuni suoi cittadini per salvarne altri, viene meno al suo compito fondamentale. Il semplice pagamento di un riscatto può salvare le vite degli ostaggi (ma le si può salvare, anche più onorevolmente, tentando un blitz militare), ma incoraggia i sequestratori a colpire di nuovo e avalla moralmente il loro atto criminale. Giusto per fare un esempio italiano, questa logica, su larga scala, porta ad aberrazioni morali come il “Lodo Moro”, con cui si garantiva ai terroristi palestinesi il libero uso del suolo italiano in cambio della relativa incolumità dei cittadini italiani (categoria dalla quale, evidentemente, erano esclusi i cittadini italiani di religione ebraica). Anche in questo caso il compromesso salva la vita degli italiani subito (e anche qui fino a un certo punto), mettendola in pericolo nell’immediato futuro: perché si avalla moralmente l’attività criminale di gruppi terroristi, chiaramente contrari alle nostre leggi, sul nostro territorio. Se questo discorso vale per il terrorismo, a maggior ragione vale per conflitti più ampi. Nella difesa da un nemico esterno, uno Stato non deve cedere deliberatamente porzioni di territorio abitate da suoi cittadini. Non deve scegliere politiche di deliberata vulnerabilità (contro una minaccia nucleare, per esempio) per dar “segnali di fiducia” al potenziale nemico. E, soprattutto, non deve cedere tutta o parte della sicurezza ad enti esterni come alleanze o istituzioni sovranazionali. Nel nostro caso, sarebbe assolutamente immorale cedere la gestione della nostra difesa all’Unione Europea, alla Nato o all’Onu. Qualsiasi difesa collettiva, infatti, finisce per compromettere la sicurezza degli uni a vantaggio di altri. La protezione dei propri cittadini, al contrario, deve passare sopra a qualsiasi altro principio e non deve essere sminuita da alcun rapporto o alleanza con altri Stati. 

Quali mezzi può usare, legittimamente, uno Stato per proteggere i suoi cittadini? Esiste una reazione “sproporzionata” all’offesa? 
Qualsiasi mezzo. E non esiste alcun principio di proporzionalità. Il parametro è la sicurezza, che deve essere la più completa possibile. Lo Stato, per difendere i suoi cittadini, ha diritto a usare qualsiasi mezzo necessario. La scelta degli strumenti più adatti è dettata solamente dalla natura della minaccia. Se il nemico è una rete globale di terroristi, gli strumenti e i metodi necessari alla difesa consisteranno in: uccisioni mirate dei leader terroristi, infiltrazione delle cellule, arresti in patria e all’estero di elementi sospetti. Eventualmente, anche la tortura può risultare necessaria se serve a salvare vite in un caso di immediato pericolo di omicidio di massa. Se il nemico è un regime, ben identificabile, che sponsorizza il terrorismo contro i miei cittadini, i metodi cambiano: meglio puntare al regime change, il cambio di regime. Dal suo interno (finché possibile) o con un’invasione (quando non sia possibile un’insurrezione interna). Se il nemico è uno Stato che possiede armi atomiche, la mia difesa migliore sarà uno scudo anti-missile. Integrato, però, da una forte capacità di risposta nucleare, se la difesa non dovesse risultare sufficiente. 

Tutti i cittadini possono essere messi sotto controllo nel nome della lotta ad un nemico interno? 
No. Tutti i diritti, a partire dalla libertà e dalla proprietà privata, devono essere rigorosamente rispettati. Solo nemici (interni o esterni che siano) indiscutibilmente riconosciuti tali, possono essere legittimamente combattuti. Tutti gli oggettivisti contemporanei sono, infatti, fortemente critici nei confronti della politica di sicurezza nazionale adottate dalle amministrazioni Bush e Obama, ritenendole troppo invadenti e lesive della libertà personale. 

Tutti i cittadini possono essere chiamati obbligatoriamente alla difesa? 
No. L’unico esercito legittimo è quello costituito da volontari retribuiti. La leva militare obbligatoria è una nuova forma di schiavitù, come sottolineava Ayn Rand. 

In guerra è bene distinguere fra combattenti e civili innocenti? 
È una distinzione secondaria. In guerra si deve distinguere, prima di tutto, fra aggredito e aggressore. L’aggredito ha diritto di difendersi con tutti i mezzi necessari, compresi quelli che (soprattutto in un conflitto nucleare) sono destinati a provocare inevitabilmente danni collaterali su strutture e persone non combattenti. E’ dovere dello Stato, prima di tutto, proteggere la vita dei suoi cittadini e dei suoi soldati. Principio di responsabilità vuole che, se ci vanno di mezzo civili non combattenti, la responsabilità non sia dell’aggredito (che sta difendendosi), ma dell’aggressore, che ha deliberatamente esposto i suoi civili al pericolo. Giusto per fare qualche esempio: è Mussolini il responsabile della morte di migliaia di civili italiani sotto i bombardamenti anglo-americani. E’ Arafat il responsabile della morte di migliaia di civili palestinesi morti nelle rappresaglie israeliane (specie quando i civili sono usati alla stregua di scudi umani).

È lecito invadere e occupare territori stranieri? 
Solo ed esclusivamente in un caso: se è lo Stato straniero l’aggressore e il difensore, respingendolo, occupa interamente o parzialmente il territorio nemico. L’occupazione è comunque da intendersi come provvisoria e volta alla sicurezza dei propri confini. Per i cittadini dei territori occupati valgono gli stessi diritti di tutti. L’occupante li deve trattare alla stregua dei propri, avendo assunto il monopolio sulla loro protezione, sia pur provvisoriamente. 

E’ legittimo usare la forza militare per difendere le proprie risorse naturali, oltre che i propri cittadini? 
Solo se queste risorse sono un bene fondamentale per la sopravvivenza fisica o economica dei suoi cittadini. Sono da considerarsi “sue” (cioè: appartenenti ai suoi cittadini) se sono state scoperte da un cittadino di quello Stato. Anche se dovessero trovarsi dall’altra parte del mondo, sarebbero comunque sue risorse, degne di essere difese con le armi, se dovessero essere sequestrate o minacciate di sequestro. Gli oggettivisti approvarono l’intervento degli Usa in difesa dei pozzi kuwaitiani e sauditi dall’aggressione di Saddam Hussein nel 1990-1991. E contestano, piuttosto le politiche di appeasement con i regimi mediorientali seguite fino a quel momento, che hanno consentito l’esproprio forzato dei giacimenti petroliferi scoperti e sfruttati da compagnie statunitensi.

È legittimo un intervento umanitario contro un regime che stermina i suoi cittadini, anche se non costituisce una minaccia per i tuoi? 
Non è mai legittimo, per quanto vasto sia il crimine a cui si sta assistendo. Uno Stato viene meno al suo dovere fondamentale, se mette a rischio la vita dei suoi cittadini al fine di salvare quella di cittadini stranieri all’estero. Per questo gli oggettivisti (in questo caso, d’accordo con i libertari) si opposero agli interventi umanitari in Somalia, ad Haiti, in Bosnia, Kosovo e Libia. 

È meglio aumentare o ridurre le spese militari? 
Il criterio centrale deve sempre e comunque restare la sicurezza, non la quantità di spesa militare. Dipende da quanto i cittadini sono esposti al rischio. Se il rischio dovesse aumentare in seguito ai tagli, meglio non tagliare. Se la sicurezza è già a rischio, è anche lecito aumentare la spesa militare, sinché non si raggiunga un sufficiente grado di sicurezza. Saranno i militari a decidere, non i ragionieri, tanto per esser chiari. 

È giusto vendere le armi ad altri Stati o cittadini stranieri? 
Il commercio di armi leggere, utili alla difesa personale, deve essere libero, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali. Lo Stato deve mantenere il monopolio sulle sole armi da guerra (dalla mitragliatrice fino alle armi nucleari). E solo su queste il commercio interno deve essere proibito e quello internazionale limitato. 

A chi si possono legittimamente vendere armi da guerra? 
A tutti gli Stati che non costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza dei propri cittadini. A tutti i gruppi non statuali (rivoluzionari, guerriglieri ed eserciti irregolari) che combattono contro Stati che costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza dei propri cittadini. Non possono essere vendute agli Stati, o agli attori non statuali, che minacciano la sicurezza dei propri cittadini. Sarebbe autolesionismo. 

È legittimo stipulare alleanze? 
La condizione ideale è la neutralità. Un’alleanza è legittima, solo se la neutralità non può essere ragionevolmente difesa dall’aggressione di un nemico esterno. E’ perfettamente legittimo, dunque, l’ingresso del Belgio (invaso 2 volte in 20 anni) nella Nato. Legittimo anche l’ingresso dell’Italia nella stessa Nato, considerando che nel 1949 non avremmo avuto possibilità di difenderci da una possibile invasione sovietica. Meglio, comunque, un’alleanza provvisoria ad una permanente. Meglio ancora un’alleanza che lasci ampia autonomia di difesa rispetto ad una più vincolante. 

È legittimo avere rapporti diplomatici con chiunque? 
No, non con tutti. Per avere un rapporto diplomatico con uno Stato, devi prima riconoscerne la legittimità. E non tutti gli Stati devono essere considerati legittimi. Nella definizione di Ayn Rand, uno Stato criminale (e dunque: fuori legge) è quello che: a) sequestra la proprietà privata ai suoi cittadini b) nega la libertà di espressione c) non permette loro di scegliere il proprio governo con elezioni libere e regolari. Pressoché tutti i regimi autoritari e totalitari rientrano nella categoria di Stato criminale. Con essi non è legittimo tenere rapporti diplomatici, né stringere alleanze. 

È legittimo commerciare con chiunque? 
Il commercio non è compito dello Stato. I privati cittadini possono commerciare con chiunque, ovunque nel mondo. Ma lo devono fare a spese loro e a loro esclusivo rischio e pericolo. Non possono poi pretendere di essere tutelati all’estero dallo Stato, per una situazione in cui si sono infilati di loro spontanea volontà. 

È legittimo un embargo o un insieme di sanzioni economiche? 
Sì, solo se lo Stato soggetto ad embargo o a sanzioni economiche minaccia dichiaratamente la sicurezza dei tuoi cittadini. 

Uno Stato può legittimamente secedere da un altro Stato? 
Sì, purché il nuovo Stato garantisca almeno altrettanta sicurezza ai suoi cittadini rispetto allo Stato precedente. La Rand era tendenzialmente contraria alle secessioni motivate dall’etnia, foriere di Stati ancor più chiusi. Era invece favorevole a secessioni spinte da un desiderio di maggior libertà da Stati oppressivi, quale forma di resistenza alla tirannia. 

Uno Stato può perdere la sua prerogativa di difendere i cittadini? 
Sì, quando è lui il peggior aggressore. Uno Stato criminale, che viola i diritti dei suoi cittadini, ovviamente perde il diritto di difenderli. I suoi cittadini, in compenso, acquisiscono il pieno diritto di rovesciarlo, anche con la forza delle armi, con o senza l’appoggio di Stati stranieri. 

Ma esistono, alla fine, veri e propri “diritti” degli Stati, come la sovranità o l’integrità territoriale?
No. Lo Stato va inteso solo come un’agenzia di protezione al servizio dei suoi cittadini. Agisce per tramite loro. Ma sono solo i cittadini, gli individui, ad avere diritti. Se lo Stato non compie il suo dovere, deve farsi da parte.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:17