Il disastro diplomatico di Barack Obama

Jimmy Carter perse le elezioni del 1980 perché il personale dell’ambasciata in Iran fu sequestrato per più di un anno dai pasdaran e il presidente non riuscì a riportarli a casa. La vicenda dell’ambasciata di Teheran non fu l’unica causa della vittoria di Ronald Reagan, ma sicuramente fu una delle più determinanti.

Sotto l’amministrazione Obama è successo qualcosa di ancora peggiore: un ambasciatore assassinato. In un Paese, la Libia, liberato da Gheddafi anche grazie all’aiuto militare americano, a spese dei contribuenti americani. Un episodio simile, a meno di due mesi dalle elezioni, stroncherebbe qualsiasi presidente. Ma forse non Barack Obama. Perché i grandi media nazionali, a partire dai quotidiani New York Times e Washington Post, stanno concentrando il fuoco delle loro critiche… su Mitt Romney. Perché osa criticare l’amministrazione.

In effetti, la Casa Bianca si è mossa con estremo ritardo nel condannare il duplice assalto alle sedi diplomatiche del Cairo e di Bengasi. Una protesta presidenziale ufficiale è giunta solo dopo l’assassinio dell’ambasciatore in Libia. E ancora ieri pomeriggio la reazione statunitense ai drammatici eventi appariva poco chiara. Subito dopo l’assalto all’ambasciata del Cairo, l’unica dichiarazione ufficiale statunitense consisteva in un comunicato dell’ambasciata stessa, in cui veniva condannato unilateralmente il video “blasfemo” (diffuso solo su Internet) che avrebbe fornito il pretesto dell’assalto.

Romney ha attaccato questo atteggiamento indeciso e auto-accusatorio. E su questa base i due grandi quotidiani (seguiti a ruota da altri media di orientamento liberal) attaccano Romney. Perché il parere dell’ambasciata al Cairo, nell’occhio del ciclone, non coincide con quello di Obama. Non si spiega, a questo punto, come mai vi sia un disaccordo così profondo fra l’amministrazione democratica e i suoi rappresentanti all’estero. Tra le altre cose, anche la prima dichiarazione di Hillary Clinton (titolare della politica estera), inizia con una critica al video e prosegue (solo nel suo secondo periodo) con una condanna all’assalto islamista alle sedi diplomatiche. Anche questo è un segno di debolezza della politica estera di Obama. No? No, secondo New York Times e Washington Post, le critiche di Romney sono inopportune, infondate o pienamente in mala fede.

Dunque, ciò che ha fatto notizia, nella giornata del 13 settembre, non è stato il fallimento plateale della politica estera di Obama, bensì la “gaffe” del suo sfidante repubblicano. Ancor più sbalorditiva (anche se più comprensibile) è stata la reazione dello staff di Barack Obama, che accusa Romney di “politicizzare” un evento drammatico. Ma l’evento in questione è o non è frutto di una politica estera fallimentare? Come si può razionalmente accusare qualcuno di “politicizzare” un evento politico? A quanto pare, però, nessuno nota il paradosso: i giornalisti sono troppo impegnati a sfottere Romney per la sua presunta gaffe. “Sto con il mio Paese, sia che abbia torto, sia che abbia ragione” era il motto dei nazionalisti. “Sto con Barack Obama, sia che abbia torto, sia che abbia ragione” è la risposta dei media “mainstream” americani contemporanei, sempre più palesemente faziosi.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:44