I talebani dettano le condizioni

I Talebani dettano le loro condizioni per il ritiro americano. Undici anni dopo l’11 settembre, quasi undici anni dopo il rovesciamento del regime del Mullah Omar (che aveva offerto ospitalità, sostegno e basi a Osama Bin Laden), gli uomini del leader talebano si dicono pronti ad un cessate-il-fuoco su tutto il territorio. Ma… in cambio vogliono veder riconosciuto un proprio ruolo politico.

Lo rivela il Rusi, il britannico Royal United Services Institute, dopo aver intervistato quattro personaggi ad alto livello: un ex ministro e un ex viceministro talebani (che tuttora mantengono contatti con la leadership del Mullah Omar) e due mediatori afgani, che hanno una profonda conoscenza degli insorti jihadisti. La proposta di cessate-il-fuoco è tuttora informale, ma per la prima volta viene considerata “concreta” e “condivisa dai vertici e dalla base” dei combattenti. I Talebani, prima di tutto, considerano “un errore” l’alleanza con Al Qaeda, che, ribadiscono, è l’unica vera responsabile dell’attacco dell’11 settembre. Quale condizione preliminare per il cessate-il-fuoco, gli jihadisti afgani si dicono pronti a recidere ogni legame con la rete del terrore, ormai orfana di Osama Bin Laden. E infine promettono di non permettere più ai qaedisti di entrare in territorio afgano. Per garantire la fine di questa decennale alleanza, promettono anche la costituzione di commissioni miste talebane-regolari afgane-Isaf.

Ma il prezzo del cessate-il-fuoco e della cacciata dei qaedisti è molto alto. Prima di tutto, contrariamente agli accordi finora proposti dal governo di Kabul (sostenuto dall’Isaf, la missione in Afghanistan a guida Nato), i Talebani non intendono affatto riconoscere la Costituzione afgana. Non accettano la forma federale dello Stato, perché ne vorrebbero uno centralista. Per governarlo meglio? Evidentemente sì, considerando che le loro condizioni prevedono anche un vicepresidente e almeno 5 ministri talebani per il futuro governo. Si dicono disposti a collaborare alla vita democratica del Paese, partecipando alle elezioni e mandando loro uomini nel futuro Parlamento di Kabul, ma rifiutano ogni collaborazione con tutte le forze accusate di “corruzione”: termine vago in cui possono rientrare tutte le formazioni non talebane. Rifiutano anche la collaborazione con l’attuale presidente Hamid Karzai, che ritengono l’origine della corruzione nel Paese. Quanto alla presenza permanente delle truppe americane, i Talebani si dicono pronti ad accettarla, in modo limitato, anche fino al 2024… purché “non compromettano l’indipendenza dell’Afghanistan”, né vengano usate per attaccare i vicini (leggasi: Iran e Pakistan). Nessuna garanzia sul futuro sociale del Paese. I Talebani non accettano un’educazione mista per maschi e femmine, anche se si dicono più “flessibili” sull’introduzione di materie contemporanee (come le scienze e la matematica) nelle scuole coraniche.

In sintesi: i Talebani vogliono tornare al comando, in cambio della rottura dei legami con Al Qaeda. Gli americani accetteranno questo compromesso? Per ora si limitano a cedere la prigione di Bagram (quella delle polemiche sul Corano bruciato) alle autorità di Karzai. Washington (chiunque vinca le prossime elezioni) mira decisamente al ritiro da un conflitto ormai ultra-decennale.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:42