Obama: «Lo stato è la soluzione»

“Lo Stato non è il problema, perché lo Stato siamo noi”. Condensandolo, è semplicemente questo il messaggio presidenziale di Barack Obama, nel suo discorso di Charlotte. Accettando la nomination dal Partito Democratico, ha difeso i risultati della sua amministrazione, giustificato gli sconfortanti risultati (in termini di disoccupazione e debito pubblico) alla luce della grande crisi del 2008, tracciato le linee della sua politica estera. E ribadito la sua filosofia di Stato interventista, contrapposta al “darwinismo sociale” dei Repubblicani, che vorrebbero ridurre il peso del settore pubblico. «Noi non pensiamo che lo Stato possa risolvere tutti i problemi – ha detto il presidente, parafrasando Reagan – ma non pensiamo neppure che sia la fonte di tutti i problemi, più ancora dei beneficiari del welfare o delle aziende o dei sindacati, o degli immigrati, o dei gay, sui quali alcuni vorrebbero scaricare tutte le colpe. Perché, America, noi sappiamo che la democrazia è nostra».

Obama lancia il suo “j’accuse”, non solo contro i Repubblicani, ma anche, in genere, contro il sistema di libero mercato. Il presidente ritiene che la crisi del 2008 sia stata generata dai precedenti 10 anni di crescita “effimera” (dunque anche l’amministrazione Clinton viene tirata in ballo). Un decennio, in cui: «le famiglie lottavano contro costi che salivano, contrariamente ai loro stipendi. In cui la gente si indebitava anche solo per mettere la benzina nella macchina, o il cibo in tavola. E quando tutto il castello di carte è crollato nella Grande Recessione (del 2008, ndr), milioni di americani innocenti hanno perso il loro lavoro, la loro casa, i loro risparmi di una vita, una tragedia dopo la quale stiamo ancora lottando per uscirne».

Questa analisi della crisi già dice tutto. Sono dimenticati e assolti i responsabili statali e para-statali del collasso economico: Fannie Mae e Freddy Mac (garantiti dal pubblico), la Fed (ente teoricamente privato, ma in posizione di monopolio statale), la stessa politica di “una casa per ogni cittadino”, voluta dai Democratici e dallo stesso Obama, quando era giovane. Se il mercato finanziario è collassato, dal punto di vista di Obama, la colpa è del liberismo. E infatti, puntualmente, dichiara: «Dopo tutto quello che abbiamo passato, non credo che ridurre le regole di Wall Street aiuti la piccola imprenditrice ad espandere la sua attività, o il costruttore licenziato a conservare la propria casa». Anche per quanto riguarda le tasse, per Obama, sono i ricchi che devono pagarle: «Ho tagliato le tasse a chi ne aveva bisogno, alle famigli della classe lavoratrice, ai piccoli imprenditori. Ma non credo che rinnovare un’altra volta un’esenzione fiscale per i milionari possa creare nuovi posti di lavoro in patria, o ridurre il nostro debito».

Sfiducia anche nell’assistenza (sociale e sanitaria) gestita dai privati: «Io non penso nemmeno di trasformare Medicare in un assegno (buono sanità da spendere sul mercato, come propone Paul Ryan, ndr). Nessuno americano deve spendere i migliori anni della sua vita alla mercé delle assicurazioni private». E: «Manterrò le mie promesse sul sistema previdenziale, prendendo tutte le misure responsabili per rafforzarla, non per regalarla a Wall Street».

Obama non nega le virtù dell’iniziativa e della responsabilità individuali, ma «…Noi crediamo anche in qualcosa chiamato cittadinanza».

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:28