Il vertice disallineato di Teheran

I Paesi Non Allineati sono riuniti a Teheran, con la benedizione di Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu (presente alla conferenza, nonostante l’Iran sia sotto sanzioni approvate dalle stesse Nazioni Unite). Ma i Paesi del fronte terzomondista si sono trovati, prima di tutto, non allineati fra loro. Specie sulla spinosa e drammatica questione della Siria.

Il presidente egiziano Mohammed Morsi, il primo capo di Stato del Cairo che si reca in Iran dal 1979, ha attaccato senza mezzi termini il regime di Damasco, alleato di Teheran, con toni degni della Francia di François Hollande (la più interventista sul fronte delle democrazie occidentali) e ha provocato l’uscita dall’aula dei rappresentanti siriani. «La rivoluzione in Egitto è stato un pilastro della Primavera araba, è iniziata un paio di giorni dopo la Tunisia ed è stata seguita da Libia e dallo Yemen e ora dalla Siria dove c’è una rivoluzione contro il regime oppressivo » che la governa, ha detto Morsi il quale ha affermato che «siamo pronti ad aiutare a mettere fine ad un ulteriore bagno di sangue» nel Paese.

Imbarazzo da parte di Teheran, che aveva ospitato l’evento dei Non Allineati, oltre che per giustificare il suo programma nucleare “pacifico”, anche per difendere il regime di Bashar al Assad dall’eventuale attacco delle democrazie “imperialiste”. Lo scopo era evidente, soprattutto alla luce dell’incontro fra Ban Ki-moon e l’ayatollah Alì Khamenei, guida suprema iraniana. Quest’ultimo aveva chiesto al segretario generale di «Fermare il traffico di armi diretto ai ribelli siriani». Ma il non-allineato Morsi, su cui lo stesso Iran contava (e conta tuttora) molto, per istituire una nuova alleanza anti-israeliana, si è dimostrato ancor più imprevedibile del solito. Così, dopo aver mandato le truppe nel Sinai per distruggere le cellule terroristiche (che attaccano Israele), ora si dice addirittura pronto ad intervenire in Siria per porre fine al “bagno di sangue” avallato anche dall’Iran.

L’imbarazzo di Teheran ben si accompagna alla costernazione di Damasco, i cui delegati hanno abbandonato il vertice. I siriani hanno accusato il presidente egiziano di «istigare allo spargimento di sangue».

Lo strappo egiziano è indice del livello di conflittualità raggiunto all’interno del mondo arabo e islamico. Il blocco sunnita, di cui Egitto e Arabia Saudita sono sempre stati i due pilastri, era sinonimo di “fronte conservatore”, contrapposto al rivoluzionario blocco sciita costituito da Iran, Siria e dagli Hezbollah in Libano. Dopo la primavera araba, anche il blocco sunnita sta compiendo la sua rivoluzione. È una nuova onda, partita dalla Tunisia e dall’Egitto, in cui stanno primeggiando i Fratelli Musulmani, di cui Morsi è un esponente di punta.

Ci sono solo due possibili sviluppi di questa situazione inedita. La prima, nociva per gli interessi occidentali, è che i due fronti rivoluzionari facciano causa comune contro Israele e Stati Uniti. La seconda è uno scontro al calor bianco fra le due rivoluzioni. Lo strappo di Morsi alla conferenza dei Non Allineati fa presumere che il secondo scenario sia il più plausibile, per lo meno nel breve periodo. La guerra civile in Siria sta facendo da catalizzatore dello scontro fra sciiti e sunniti. Anche se non è possibile affermarlo con certezza: nel Medio Oriente nulla è mai ciò che sembra.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:12