Ombre russe sulle elezioni in Georgia

Tempi di campagna elettorale, non solo per gli Stati Uniti, ma anche per la piccola Georgia, laggiù nel Caucaso meridionale, ai confini del rinato “impero” della Russia. Si voterà il prossimo 1 ottobre per il rinnovo del Parlamento. Il partito di maggioranza, il Movimento Unione Nazionale di Mikhail Saakashvili, è alle prese con un’opposizione più organizzata che mai, visibilissima nelle televisioni, nelle t-shirt dei suoi sostenitori sparsi ai quattro angoli del Paese e in una miriade di poster elettorali. Si chiama “Sogno Georgiano”, è costituita da una coalizione di partiti minori che sinora hanno avuto poca voce in capitolo. A tratti ricorda Forza Italia ai suoi esordi. Prima di tutto perché ne fa parte l’ex giocatore del Milan Kakha Kaladze. Ma anche e soprattutto perché è guidata da un miliardario, Bidzina Ivanishvili, la cui villa, iper-moderna che pare un’astronave, domina, dall’alto della sua collina, sui quartieri più antichi ed orientaleggianti di Tbilisi, la capitale georgiana.

C’è tuttavia un’ombra che incombe. O meglio, “un orso”: la vicina Russia. Il timore che si possa riaprire un fronte di guerra con il potente vicino non è affatto infondato. La crisi delle due regioni separatiste, riconosciute da Mosca dopo la guerra russo-georgiana dell’agosto 2008, Abkhasia (nel Nord-Est) e Ossezia del Sud (incastonata nel Nord montuoso del Paese), è tutto meno che finita. L’attuale premier Dmitri Medvedev, due settimane fa, ha promesso a quest’ultima nuovi e più consistenti aiuti. Quanto meno si è mostrato insensibile sulla questione dei profughi georgiani, cacciati con la forza dalle loro case ed ora ridotti, come terremotati, a vivere in villaggi di prefabbricati attorno a Gori, la città natale di Stalin. Ora rischiano di viverci in modo permanente: il governo separatista ossetino ha ventilato l’ipotesi di distruggere le loro case natie e non farli mai più rientrare nel suo territorio. Della questione dei rifugiati georgiani i russi non si interessano minimamente. Secondo la loro versione, l’Ossezia del Sud, nell’agosto del 2008, è stata vittima di un’aggressione georgiana, voluta e personalmente ordinata dall’attuale presidente Mikhail Saakashvili. L’accusa si riflette anche sulle incombenti elezioni georgiane. Ivanishvili punta il dito contro l’attuale presidente tacciandolo di avventurismo contro il Cremlino. Il miliardario (che ha fatto i soldi in Russia, dopo il crollo dell’Urss) promette, ai primi punti della sua agenda, di ricucire lo strappo con il potente e ingombrante vicino. E, puntualmente, sono molti i georgiani che lo identificano come il braccio locale di Mosca, pronto a comprare il Paese per conto di Putin. 

Il punto focale è però nella responsabilità storica della guerra dell’agosto 2008. Ha ragione Ivanishvili nel definirla come il frutto delle provocazioni e dell’imprudenza militare di Saakashvili, che il 7 agosto 2008 ha attaccato l’Ossezia del Sud, provocando la reazione russa? «La Russia stava solo cercando un pretesto e Saakashvili gli ha fornito quel pretesto», ha detto il leader dell’opposizione il 9 agosto scorso. O il presidente non poteva far altro che reagire all’imminente invasione russa? Questa seconda tesi, che emerge dal libro intervista di Raphael Glucksmann, è stata molto spesso liquidata come propaganda auto-assolutoria del capo di Stato georgiano. Ma l’8 agosto scorso, proprio in occasione del quarto anniversario della guerra, è stata confermata da Putin stesso. L’occasione per questa rivelazione eclatante è stata fornita da un video non ufficiale pubblicato su YouTube: “Il giorno perduto”. Lo scopo di quel filmato, che include un’intervista all’allora capo di Stato Maggiore Jurij Balujevskij, è un’accusa alla presunta “indecisione” di Medvedev (allora presidente) nel muovere guerra alla Georgia. Secondo il generale, infatti, sin dalla fine del 2006 i piani erano pronti. Nella primavera e nell’estate del 2008 (il presidente Medvedev ha assunto l’incarico in maggio) le truppe erano già schierate, i missili puntati, i bombardieri pronti al decollo, gli ordini (sigillati) consegnati agli ufficiali sul campo. Vladimir Putin stesso, due settimane fa, ha confermato la veridicità di quella tesi: il piano era pronto dalla fine del 2006 e approvato nel 2007. I miliziani dell’Ossezia erano stati incorporati sotto il comando russo, da cui avevano ricevuto armi e addestramento, le loro azioni di bombardamento e sconfinamento in territorio georgiano erano dunque parte del piano preparato a Mosca. E dunque: anche le loro successive azioni di pulizia etnica ai danni dei georgiani, sono imputabili al Cremlino. Le azioni dei miliziani hanno funzionato da innesco, la reazione georgiana da detonatore. Ma la bomba russa era già pronta ad esplodere da almeno un anno.

Medvedev è accusato di aver aspettato troppo. Di essersi mosso solo quando Saakashvili ha lanciato il suo attacco contro l’Ossezia. E, anche qui, solo su sollecito di Putin che, da Pechino (dove era in visita in occasione dell’inizio delle Olimpiadi) avrebbe telefonato al Cremlino per “ordinare” al presidente di “prendere i georgiani a calci nel punto soffice (il sedere, ndr)”. Secondo il generale Balujevskij, infatti, Medvedev avrebbe potuto e dovuto invadere la Georgia prima di quel fatidico agosto 2008, per evitare le perdite (poche, ma significative) subite dall’esercito russo.

Alla luce di queste rivelazioni, che il candidato Ivanishvili sminuisce come «nulla di nuovo», la storia cambia completamente. Un qualsiasi osservatore neutrale può ben capire che Saakashvili abbia agito per necessità, non per imprudenza o avventurismo militare. L’ammissione di Putin smentisce anche il rapporto europeo sul conflitto del 2008, redatto dalla diplomatica svizzera Heidi Tagliavini, secondo cui la guerra sarebbe stata provocata dalla Georgia e dal suo attacco alle “truppe di pace” (che in realtà erano l’avanguardia dell’imminente offensiva) russe. E ridicolizza anche la tesi di tutti quei pro-russi, europei e italiani, che vedono nella guerra del 2008 solo un atto di aggressione della Georgia (una nazione da 5 milioni di anime) contro la Russia: 143 milioni di abitanti e seconda potenza militare del mondo.

Balujevskij va oltre, nelle sue accuse e rivela un furore anti-occidentale degno dei peggiori tempi dell’Unione Sovietica. Ritiene che l’allora inquilino del Cremlino abbia avuto la “colpa” di avviare «umilianti consultazioni» con il leader occidentali e con «il nemico» (leggasi: gli Usa) «che cerca nuovi pretesti per attaccare la Russia con armi nucleari». Perché questa è la visione del mondo diffusa in quei begli ambienti: la guerra fredda, per qualcuno, non è mai finita. E la guerra in Georgia, che ora torna di attualità grazie alle nuove elezioni, non può che essere letta in quella chiave: un atto di guerra fredda fuori tempo massimo. Un attacco russo lanciato a un Paese che vuole essere parte dell’Occidente, per intimidire l’Occidente stesso.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:46