Così muore il mito di Mandela

Come nel 1898 di Bava Beccaris, come nel Germinal di Zola, epos dei minatori in sciopero, scritto 13 anni prima dei moti milanesi. Presso le miniere della britannica Lomnin, in pochi minuti la polizia sudafricana ha steso a fucilate più di cento dimostranti (34 morti e 78 feriti, oltre ai quasi trecento in arresto) con una potenza di fuoco ben superiore ai cannoni ed alle armi del generale sabaudo che ci mise due giorni per ucciderne 80 e ferirne 450.

Si rivivono i moti e gli scioperi sedati con le armi di due secoli fa. Lavoratori colpiti alla schiena mentre fuggono, come nel ’60 per i 72 morti di Shaperville, uccisi dalle autorità inglesi un anno prima dell’indipendenza sudafricana. A Marikana, 80 km dalla capitale Pretoria, dove si estrae platino per il terzo produttore mondiale, sono morti molti miti.

Muore quello del Sudafrica felix di Mandela che ha dato il nome a tanti luoghi ottimi e progressivi in Occidente a partire dal Forum di Firenze. Muore il senso dell’lo e le sue prediche sul decent work. Muore l’immagine del sindacalismo mondiale ed europeo che non è riuscito a spiccicare una parola sull’accaduto. Soprattutto muore la retorica dell’antirazzismo e delle vuvuzuela, solo due anni fa profuse a piene mani durante i mondiali di calcio, quando un’incredibile massa di giornalisti sportivi elogiava allo spasimo le immagini di un paese tetro, triste tra turbe di bimbi da bidonville nella desolazione circostante. Guardavano e raccontavano il contrario di quanto mostravano ad una platea televisiva ubriacata dalla demagogia diffusa a piene mani.

Certo, siamo in Africa, dove per esempio un Gheddafi qualunque garantiva 4mila dollari mensili ai libici, sulla base delle materie prime. Ricco dei minerali della terra, come il Sudafrica, però ce ne sono pochi: prima riserva mondiale d’oro (35%), platino (55,7%), manganese (80%), cromo (68,3%), titanio (21%), silicati di alluminio (37,4%) e vanadio (44,5%), preponderante di diamanti grezzi, 60 varianti per un valore di $2500 miliardi, sulla carta 50mila annui a testa per sudafricano. Grazie alle materie prime, come la Russia o il mondo arabo, Pretoria è entrata nei paesi emergenti dei Brics. Fa impressione sentirsi dire dagli economisti che al paese non basta la crescita del 2% del 2010 o 3% del 2011 per riequilibrare le enorme differenze sociali. Fiore all’occhiello del progressismo mondiale, il Sudafrica vanta sulla carta 50 comitati aziendali di dialogo sindacale ed  avanzate regole sociali, a partire dalla contrattazione collettiva, esaltate nei convegni di Bruxelles. In realtà, se il paese ha da solo un terzo di tutto il reddito continentale, lo si deve agli unici autentici ceti medi neri ed indiani d’Africa ereditati dal passato.

Mandela, a luglio 94 anni, il successore Thabo Mbeki, famoso negatore dell’Aids, e l’attuale presidente Jacob Zuma hanno creato uno dei paesi più violenti al mondo, che vanta 2 milioni di reati l’anno, il top di sieropositivi e malati di aids del globo, una terra dove i bimbi bianchi poveri non vanno a scuola per timore di stupro e quelli ricchi di tutti i colori vivono in ville elettrificate e difese come fortini. I primi atti dopo l’eccidio di Marikana sono stati simbolicamente il divieto per i bianchi di diventare aviatori e la condanna per l’ultimo degli esponenti di un gruppo bianco terrorista che nel 2004 avrebbe pianificato l’omicidio di Mandela. Il richiamo antiapartheid di Soweto non vale però; il Sudafrica è peggiorato passando dalle rivolte per la libertà a quelle per lo stomaco e la fame. Nel paese che vanta le massime differenze sociali al mondo, una disoccupazione del 30%, l’aumento dei redditi del 4% è andato a vantaggio di nuovi oligarchi neri e di una onnivora borghesia statale di colore, nella fuga di mezzo milione di bianchi e nello strascinarsi di altri 450mila, troppo poveri per scappare.

Mangwashi ‘Riah’ Phiyega, donna capo della polizia, mandata davanti alle telecamere a spiegare che non c’era alternativa al massacro,  mostra un tipico curriculum: già capocomitato retribuzioni degli impiegati, di quello per la ristrutturazione delle imprese pubbliche, dell’autorità portuale, gestione del traffico e Fondo per l’Infanzia. Come dire: per tutto e di più, meglio donna e nera. L’interpretazione popolare della propaganda antiapartheid spinge i neri, esasperati dai drammi sociali, a nuovi pogrom. Mentre a giugno metteva $2 miliardi nella raccolta dei $456 voluti dal Fmi per aiutare il mondo in crisi, il Sudafrica ha visto scatenarsi la caccia a cinesi, bengalesi, somali ed etiopi i cui negozi a Botshabelo, Thaba ‘Nchu ed altre località sono stati incendiati. I bianchi poverissimi dispongono di 1200 rand mese, 80 euro, quelli poveri, come i minatori neri, di 3000 rands, 400 euro. Nella crescita del prezzo delle materie prime e nell’aumento della disoccupazione che ha abbassato i salari sta la forbice. In barba alla negoziazione l’inglese Lomnin minaccia di licenziare tutti i minatori.

Cosa ha da dire a riguardo l’inglese Guy Ryder, nuovo capo dell’Organizzazione internazionale del lavoro dell’Onu già segretario dei sindacati liberi (Icftu), poi della Confederazione internazionale dei sindacati (Ituc–Csi), insignito all’ordine dell’Impero Britannico? Cosa il sindacato europeo Ces? Niente a quanto pare. Niente proteste, siamo inglesi. Viva Mandela, siamo italiani.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:38