Aleppo, la tomba dell'informazione

Aleppo tomba dell’informazione. Le notizie sugli scontri che interessano giornalmente i quartieri della città siriana si inseguono e si contraddicono con estrema facilità. Nulla di certo: morti, fughe, diserzioni, nomi. I numeri della lotta sono un tabù e chi decide di andare laggiù, per vederci un po’ più chiaro, spesso rischia tutto. Ecco l’accaduto. Un’inviata di guerra della stampa giapponese, Mika Yamamoto, è rimasta uccisa mentre seguiva da vicino la guerra civile nella Siria settentrionale. La giornalista freelance, che collaborava con diverse testate televisive, lunedì è stata colpita da diversi colpi di arma da fuoco. Le autorità diplomatiche giapponesi fanno sapere che «la Yamamoto si trovava insieme ad un collega al seguito di un battaglione dell’esercito regolare siriano». 

Un video postato su Youtube da un ribelle, mostra la giornalista, di 45 anni, all’interno di un furgone avvolta da coperte bianche, con solo la faccia scoperta. Il suo compagno di viaggio, un reporter dell’Associated Press, visto il filmato, ha confermato la sua identità. È stata colpita al collo, dichiara alla stampa il padre della vittima, dopo aver parlato con i funzionari del governo giapponese. La donna aveva coperto la guerra in Afghanistan dal 2001 fino al 2003, anno in cui l’esercito Usa dette inizio alla campagna irachena. Si era recata allora a Baghdad come inviato speciale per la Ntv. È la quinta giornalista straniera a perdere la vita da quando è iniziata la rivolta contro il regime di Assad. Il bilancio si fa più duro se si guarda ai reporter siriani: in poco più di un anno sarebbero trenta le vittime della guerra. 

In un altro viedo pubblicato su Youtube, il capitano Ahmed Ghazali, che si batte contro l’esercito governativo ad Azaz – nel nord del paese – sostiene che la donna è stato uccisa dalle forze regolari e non dai ribelli. Tutto da vedere. «Benediciamo l’arrivo di qualsiasi inviato che voglia raccontare la nostra storia, ma non ci sentiamo responsabili degli atti brutali con cui le forze presidenziali si accaniscono contro i media», afferma Ghazali. Di cifre se ne dicono e scrivono parecchie. Gli attivisti radicati sul territorio siriano parlano di ventimila morti da marzo 2011 e Ghazali accredita questi dati come reali. Esprime frustrazione per l’attendismo con cui la comunità internazionale si interfaccia alla crisi. «Spero che la morte della Yamamoto cambi le carte in tavola e che i paesi si decidano a intervenire». 

Nelle ultime ore sono stati bloccati dalle forze governative anche altri due giornalisti, tra cui un reporter di Al-Hurra Tv, Bashar Fahmi, e il suo cameraman, Cuneyt Unal. Il giornale per cui lavorano fa sapere di lavorare al massimo per raccogliere maggiori informazioni su cosa sia accaduto ai loro uomini sul campo. Intanto, il corpo della Yamamoto è stato trasferito in Turchia e preso in custodia dal personale dell’ambasciata giapponese. Intervistato nei pressi di Tokio, il padre della vittima ricorda: «Mia figlia ha sempre dato voce al pensiero dei più deboli». Ed è morta in Siria non per una causa, ma per raccontare al mondo fatti troppo spesso ignorati. 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:03