Se Putin aggira l'embargo ad Assad

Senza denaro e petrolio le guerre non si vincono. E quanto sta accadendo in Siria, la guerra civile contro il regime di Assad, non sfugge a questa regola. La comunità internazionale segue con attenzione i fatti di Damasco ormai da un più di un anno. Il primo passo per frenare l’intransigenza del governo furono le sanzioni, inasprite poi in questa primavera man mano che gli scontri e il sangue rendevano più problematica una soluzione pacifica. 

Gli alleati del presidente con il passare del tempo si sono pressoché dissolti e oggi, l’unico paese che può garantire risorse e una certa legittimità a livello internazionale, sembra essere la Russia di Putin. Certo, non bisogna dimenticare l’Iran e la Cina, ma Mosca può vantare storicamene un maggiore peso politico in Medio Oriente.

Ogni misura introdotta contro il governo siriano è stata varata al di fuori del sistema delle Nazioni Unite. I lavori nel Consiglio di Sicurezza sono stati bloccati dai veti di Cina e Russia e da quel momento a poco o nulla sono valsi i viaggi del segretario generale Ban Ki-moon così come i suoi tentativi di mediazione. Le sanzioni approvate, di natura economico-commerciale, sono il prodotto di azioni unilaterali coordinate da Stati Uniti, Unione Europea e Lega Araba - quest'ultima guidata da paesi di religione sunnita, ostili al riformismo sciita di Damasco e Teheran – e non sono giuridicamente vincolanti per stati come la Russia estranea alle dinamiche economiche euroamericane. 

Dunque, la partita si riduce a due figure Putin e Assad. Il regime pianifica di utilizzare le banche russe per aggirare l’embargo energetico e finanziario. Si parla di prestiti a tassi agevolati, di incontri tra vertici siriani e istituti di credito pronti a risolvere i problemi di liquidità derivanti dall’esclusione dai circuiti occidentali. Il piano della Siria ha preso forma negli ulitmi mesi ed è stato messo a punto da alcuni dirigenti della Banca Centrale siriana, insieme ai ministri del petrolio e delle finanze. 

La Siria non è un grande produttore di greggio, meno dell’1% rispetto al mercato mondiale, ma ad oggi questa è una delle ultime fonti di guadagno per il governo. Esportare petrolio è di vitale importanza per la sopravvivenza del regime. I circa 150.000 barili al giorno esportati valgono circa 380 milioni di dollari al mese a prezzi correnti. 

Il progetto prevede la creazione di società off-shore disperse in vari paesi con il sostegno di compagnie con sede a Dubai, Sudafrica, Angola per minimizzare l’impatto delle sanzioni. Alcune società avrebbero sede in Malesia e in Russia e costituiscono un ponte che permetterebbe il transito di denaro ottenuto dalla vendita di greggio, il tutto nella massima riservatezza. Al centro, Gazprombank: la banca che controlla il finanziamento e la vendita del gas naturale russo. Questa avrebbe stretto un accordo commerciale con Damasco al fine di gestire i pagamenti e di allocare sul mercato le riserve di petrolio siriane. Gazprombank, contattata in diversi casi dal Wall Street Journal, non ha mai confermato questa versione dei fatti.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:14