Assad abbandonato dal suo premier

Bashar al Assad, il dittatore siriano, è stato abbandonato persino dal suo premier. Dopo le defezioni dei primi ambasciatori e generali, adesso tocca al capo del governo, Riad Hijab, voltare le spalle al regime di Damasco e riparare in una località tuttora ignota. Come in altri casi di defezione (ad esempio il pilota di un Mig-21 atterrato in Giordania), anche Hijab è un sunnita ed è nativo di Deir Ezzor, la città della Siria orientale, non lontana dal confine con l’Iraq, coinvolta nella rivoluzione sin dai primi mesi. In un conflitto che, ogni giorno che passa, diventa sempre più religioso, un sunnita come Hijab non avrebbe più potuto guidare un governo, al servizio di una dittatura militare alawita, che massacra quotidianamente i suoi correligionari.

La motivazione religiosa traspare anche nella sua prima dichiarazione ufficiale di diserzione: «Oggi dichiaro di aver disertato da questo regime terrorista e criminale e di essermi unito alla santa rivoluzione. Io dichiaro che, da oggi, sono un soldato di questa santa rivoluzione». Come molti altri disertori, anche l’ex premier siriano denuncia un “genocidio” in corso: «Mi rivolgo a voi, oggi, in queste ore cruciali – inizia il suo comunicato - in cui il Paese vive sotto il peso di un genocidio e di omicidi di massa contro civili innocenti che chiedono solo libertà e una vita dignitosa».

La sua non sarebbe stata neppure l’unica diserzione del giorno. Infatti, anche il ministro delle Finanze di Damasco, Muhammad Jleilati, ha tentato la fuga all’estero, ma è stato arrestato prima che potesse riuscirvi.

Come mai questa accelerazione nel disfacimento dello stesso governo siriano? La situazione sul campo non sembra cambiata di molto, rispetto alle settimane scorse. L’esercito ha di nuovo combattuto nelle vie di Damasco, ma da ieri la situazione nella capitale appare sotto controllo. Gli insorti hanno sferrato un poderoso colpo di coda, con un attentato contro la sede della Tv di Stato, costato 3 feriti. Per poco non uccideva il ministro dell’Informazione, Omran al Zoabi, sfuggito alla morte per miracolo. Ad Aleppo prosegue la lunga guerriglia metropolitana per il controllo della più popolosa città della Siria. Gli insorti hanno fatto progressi, fra sabato e domenica, conquistando (a detta loro) più di metà del centro urbano. L’esercito regolare non è sconfitto su quel fronte, ma comunque è costretto a schierarvi 20mila uomini, fra cui le sue migliori unità, drenando gli altri settori. Combattimenti si sono di nuovo riaccesi a Hama. In ogni caso, non si può dire che il regime di Damasco abbia perso il controllo della situazione. E nemmeno di una singola regione.

Le cause del disfacimento del regime andrebbero, piuttosto, cercate all’estero. Non nell’Onu che (causa veti di Cina e Russia) non è ancora riuscito a partorire alcuna risoluzione. Ma nella regione mediorientale, dove è ormai completa la coalizione anti-Assad: Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Giordania, lo stesso Libano (nonostante Hezbollah) costituiscono un “cordone sanitario”, arabo sunnita, che circonda il regime di Assad e preme sempre più ai suoi confini. L’Iran è lontano. La Russia stessa non dimostra di essere ancora così ferma nel suo sostegno ad Assad. Quindi, ad appoggiare il dittatore, c’è ormai tutto da perdere.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:40