Romney e la colpa di essere americano

Silenzi, imbarazzo e speranza che gli americani dimentichino in fretta. È questa la reazione del mondo conservatore al ritorno di Mitt Romney dal suo primo viaggio all’estero. Ma cosa ha sbagliato? In Polonia, il candidato del Grand Old Party ha ottenuto il plauso di Lech Walesa e la contestazione (a priori) dei sindacati. In ogni caso, le organizzazioni dei lavoratori, negli Usa come in Europa, lo considerano come un nemico per il solo fatto che proviene dal mondo della finanza. A Londra, il candidato della destra Usa ha rispolverato il suo passato di organizzatore delle Olimpiadi 2002 e non ha taciuto critiche alla gestione dei giochi del 2012. Avrebbe dovuto fare l’ipocrita?

Più in generale, dovrebbe nascondere il suo background, grazie al quale inizia ad essere visto come il più affidabile candidato sui temi economici? Sempre in Polonia, il candidato repubblicano ha dichiarato, senza equivoci, di schierarsi dalla parte dei polacchi, “difensori della libertà”, contro il pericolo di una Russia che ha smarrito la via della democratizzazione. Deve chiedere scusa a Vladimir Putin? Persino Obama, dopo l’illusione del “reset” è dovuto tornare sui passi di Bush. In Israele, il candidato del Gop ha premiato la cultura dello Stato ebraico, quale principale fonte del suo sviluppo. Thomas Friedman, editorialista del New York Times, ha definito quel discorso, come «L’aspetto peggiore della politica americana nel Medio Oriente», perché, dal suo punto di vista, Israele non ha bisogno di “amici acritici”, ma di un “mediatore onesto” equidistante dallo Stato ebraico e da quello palestinese. Romney deve forse compiacere Friedman? Nel caso, non gli basterebbe nemmeno imitare Obama (che l’editorialista, coerentemente, contesta) perché lo stesso presidente democratico ha compiuto una scelta di campo.

Lo dimostra anche la visita del segretario alla Difesa Leon Panetta: i due Paesi sono «amici, oltre che alleati», ha detto ieri il ministro democratico, visitando le batterie di difesa anti–missile israeliane e discutendo eventuali azioni (anche militari) contro l’Iran. È inutile, poi, cercare di far buon viso a cattivi media: quelle testate e quelle televisioni che si sono schierate dalla parte di Obama non cambiano idea. Se non hanno gaffe da raccontare, le creano. L’episodio di Varsavia lo dimostra: i reporter di Washington Post, New York Times e Cnn hanno urlato domande a un Romney raccolto in preghiera davanti alla tomba del Milite Ignoto, finché il suo ufficio stampa non è sbottato. I giornalisti hanno creato le condizioni per una nuova gaffe da raccontare. Tutte queste “figuracce” sono errori? O non è piuttosto la stessa identità repubblicana ad essere considerata un “errore”, da un punto di vista di media e accademici schierati a sinistra? È chiaro che i Repubblicani, per loro costituzione, non sono ecumenici. Portano la spada: dividono chi sta con l’America (e con la sua cultura) dai nemici.

Risultano antipatici, perché riconoscono l’esistenza di nemici. Ma in questo risiede anche la loro forza, soprattutto in un elettorato americano che elegge un presidente degli Stai Uniti. E non dell’umanità intera. McCain e gli uomini della sua campagna (in prima fila, in questi giorni, nella critica del viaggio di Romney), nel 2008, cercarono di essere ecumenici. E i risultati si sono visti.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:38