Usa e sunniti contro la minaccia iraniana

Il Medio Oriente torna, con prepotenza, al centro dell’attenzione degli Stati Uniti. E Washington, senza dirlo, riprende la vecchia linea di George W. Bush: alleanza con i sunniti, lotta alle tirannie locali e, nel frattempo, protezione di Israele dal pericolo iraniano (sciita). Lo dimostrano le due visite parallele alla regione mediorientale, una formale del segretario alla Difesa Leon Panetta e l’altra informale del candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney. I due uomini, molto distanti fra loro per ruolo e ideologia politica, finiscono, senza saperlo, per rappresentare le due facce della stessa medaglia. La ribellione contro il regime di Bashar al Assad in Siria è il principale oggetto del tour mediorientale di Leon Panetta.

La situazione sul campo è sempre più esplosiva. L’esercito regolare siriano, da venerdì, sta attaccando furiosamente i ribelli arroccati ad Aleppo. Gli insorti stanno resistendo ancora. Nel frattempo, 200mila abitanti stanno lasciando le loro case per fuggire all’estero o in regioni più sicure della Siria. E la Turchia reagisce rafforzando le frontiere meridionali. Di fronte a questo scenario, Panetta è stato duro più del solito nelle sue dichiarazioni. Secondo il segretario alla Difesa, la battaglia di Aleppo è un altro «chiodo nella bara di Assad», la cui caduta non è più un “se”, ma un “quando”. Contemporaneamente, Mitt Romney, in Israele, assicura il rafforzamento dell’alleanza fra gli Usa e lo Stato ebraico. Nel caso dovesse vincere le elezioni di novembre, considererà «un dovere morale» la necessità di fermare l’Iran «a tutti i costi», prima che possa costituire una minaccia nucleare. Nel caso la diplomazia e le sanzioni non bastassero, Romney sosterrebbe anche un intervento militare.

Lo aveva dichiarato più volte durante le elezioni primarie e lo ribadisce anche ora che è il candidato ufficiale del Grand Old Party. Leon Panetta non commenta il discorso di Romney. Ma, a domanda dei giornalisti, risponde di essere soddisfatto dello stato dell’alleanza fra Usa e Israele, «più forte oggi come mai in passato». Il discorso dei due uomini, appunto, coincide. Perché Bashar al Assad, in Siria, è il principale punto di appoggio mediorientale dell’Iran. Colpendo Damasco, indirettamente, si colpisce anche Teheran. La questione è anche religiosa. Il regime di Assad è alawita, setta derivante dallo sciismo. Il regime degli ayatollah iraniano è il fulcro dello sciismo fondamentalista. I ribelli siriani, che lottano contro Assad, sono sunniti, così come Turchia, Qatar, Giordania e Arabia Saudita che li sostengono. Gli Usa sono disposti a combattere, prioritariamente, il fronte sciita. Chiudendo un occhio sulle malefatte dei sunniti: in Arabia Saudita la minoranza sciita si sta ribellando (anche ieri si sono registrati scontri, feriti e arresti), ma dalle personalità statunitensi non è arrivata nemmeno una parola di condanna al regno di Riyad. L’alleanza con i sunniti è stato il mainstream dell’amministrazione Bush. A quanto pare lo sarà anche per la prossima Casa Bianca, chiunque sia destinato ad insediarvisi.

Fra i sunniti più fondamentalisti, comunque, sono compresi i Fratelli Musulmani, i salafiti e i terroristi di Al Qaeda. Gli Usa potranno permettersi di chiudere un occhio anche su di loro, ancora per molto?

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:26