La guerra siriana investirà la regione?

Negli ultimi due giorni, la guerra civile in Siria è entrata in una nuova fase, molto più pericolosa. Alle guerriglie metropolitane di Hama, Homs, Idlib e Deir Ezzor, si sono aggiunte battaglie sempre più vaste, nelle principali città siriane: nella stessa capitale Damasco e ad Aleppo, nel Nord, la città più popolosa del Paese. Benché sia difficile avere un quadro completo della situazione, in assenza di giornalisti e osservatori indipendenti sul territorio, a grandi linee il quadro è questo: a Damasco l’esercito regolare ha faticosamente respinto l’offensiva ribelle e dopo una settimana di guerriglia urbana ha riconquistato il controllo di tutti i quartieri (salvo alcune roccaforti nei sobborghi, ancora nelle mani degli insorti), mentre lo scontro principale si è trasferito ad Aleppo, dove sono in corso violenti combattimenti nei quartieri periferici meridionali.

È su quel fronte che si sta concentrando il grosso dell’esercito regolare, dotato di artiglieria e carri armati e appoggiato anche dall’aviazione. Il movimento di truppe è stato segnalato dal confine turco (Aleppo è a soli 60 km dalla Turchia): molte delle guarnigioni di frontiera sono state trasferite sul nuovo fronte. L’uso degli aerei è una novità nella guerra civile siriana. Finora erano stati impiegati elicotteri d’assalto da parte delle truppe fedeli ad Assad. Anche nella battaglia di Damasco, carri ed elicotteri hanno gravemente danneggiato interi quartieri. Ma non si erano mai visti bombardamenti aerei su città siriane. Aleppo, dunque, segna un nuovo punto di svolta nel conflitto.

Quel che non è nuovo è l’aspetto più brutale del conflitto: massacri indiscriminati di civili nei quartieri riconquistati dall’esercito regolare. Ieri è stato diffuso un video dal distretto di Qaboun, a Damasco, che mostra pile e pile di cadaveri nelle case crivellate di colpi. Amnesty International denuncia numerose esecuzioni sommarie, quali “serie violazioni delle leggi internazionali”. Man mano che il conflitto si estende, aumenta anche il rischio di una sua esportazione all’estero. In Libano, soprattutto, dove è sempre presente la forza armata di Hezbollah, legata a doppio spago con il regime di Damasco. Israele, ieri, ha minacciato una rappresaglia militare, nel caso l’intelligence scopra un trasferimento di armi chimiche dagli arsenali siriani a quelli di Hezbollah. Il governo di Gerusalemme ha affermato, senza mezzi termini, che si tratterebbe di un “casus belli”. Hezbollah, infatti, è dotato di razzi a lungo raggio e persino alcuni missili (è l’unico gruppo terrorista al mondo dotato di missili), tutti forniti dalla Siria e in grado di colpire tutto il territorio israeliano.

In caso di attacco chimico, Israele dovrebbe reagire militarmente, invadendo il Libano o la stessa Siria, per scongiurare un eccidio nelle sue città. Un altro pericolo che non può essere sottovalutato è quello dell’ondata di profughi, in Turchia e Libano, soprattutto. Le strutture di assistenza turche sono già ora ai limiti della saturazione. E nelle prossime settimane si teme un’ulteriore ondata di rifugiati da Aleppo. In queste circostanze, un intervento internazionale di qualche tipo (come la creazione di no fly zones o di enclavi protette per i rifugiati in Siria) potrebbe rivelarsi indispensabile.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:43