I nuovi schiavi dell'Arabia Saudita

Possiamo anche rimanere a bocca aperta di fronte agli scintillanti palazzi e grattacieli di Riyad, la capitale dell’Arabia Saudita. Ma chi li costruisce e a che prezzo? Sono i nuovi schiavi provenienti da tutta l’Asia orientale a fornire la forza lavoro: sfruttati, sottopagati, spesso trattati da ostaggi perché privati del loro passaporto. Questa dura realtà emerge da un rapporto–denuncia pubblicato dall’ambasciata del Nepal a Riyad. Dal 2000 ad oggi sono morti ben 3000 lavoratori nepalesi, cioè 1 ogni 162 immigrati. La maggioranza di essi muore per alcolismo, in un Paese in cui gli alcolici dovrebbero essere tassativamente proibiti.

Secondo l’ambasciatore Udaya Raj Pandev, migliaia di lavoratori sono indotti a darsi all’alcolismo a causa delle durissime condizioni nei cantieri, si procurano gli alcolici al mercato nero e spesso ci muoiono. La seconda causa di decessi sono gli incidenti sul lavoro, perché non vengono rispettate neppure le più basilari regole sulla sicurezza. Infine, come riferisce l’agenzia missionaria Asia News, «a tutt’oggi sono oltre 200 i cittadini nepalesi rinchiusi nella carceri saudite in attesa di processo. Molti di loro non conoscono nemmeno le ragioni della propria condizioni, non hanno diritto a un avvocato o a un interprete». I nepalesi non sono le uniche vittime dello sfruttamento.

Risale a due anni fa il caso di una 88 infermiere filippine, vittime di abusi sul posto di lavoro ed entrate in sciopero della fame per cercare di ottenere un difficile rimpatrio.

Nel 2009, l’Indonesia aveva richiamato 5mila suoi cittadini dall’Arabia Saudita (oltre che dal Kuwait e dalla Giordania), perché le loro condizioni di lavoro erano prossime alla schiavitù.

Nel marzo scorso, una ricerca pubblicata dal Committee on Oversaes Workers Affair, affermava che il 70% delle lavoratrici immigrate in Arabia Saudita (dalle Filippine, nella maggioranza dei casi) impiegate come badanti, subisse continui maltrattamenti, fisici e psicologici. «Lavoravo anche 20 ore al giorno senza sosta – racconta Lorena, una di loro – La moglie del mio principale mi insultava e mi picchiava perché non capivo l’arabo e non eseguivo alla lettera i suoi ordini. Il mio pranzo erano un pezzo di pane e ciò che avanzava dai piatti degli altri famigliari». In 9 mesi di lavoro è stata stuprata 5 volte dal suo datore di lavoro.

Fuggiti dalla fame dei loro Paesi, questi migranti cercano un impiego nei ricchi regni del Golfo Persico, trovandovi, molto spesso delle trappole mortali.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:42